pater familias

posta in essere dall’erede post aditionem, poiché il regime
delle due fattispecie è estremamente diverso; infatti, colui
che cedeva l’hereditas trasferiva al cessionario un diritto di
cui il medesimo poteva godere immediatamente, quindi
molto differente da un’aspettativa ereditaria aleatoria
legata, peraltro, alla conservazione della posizione
familiare del futuro erede ex lege nei confronti della
sottoposta a tutela; inoltre l’oggetto della cessione
dell’eredità erano solo le res corporales, tant’è che i crediti
ereditari si estinguevano e il cedente continuava a
rispondere in prima persona del passivo ereditario.
Si segnala inoltre che dall’analisi delle fonti Van Oven 109 ,
giustamente, aveva già osservato che, da quanto
apprendiamo da Gaio e da Ulpiano, la cessione in iure
della tutela non era un passaggio del diritto di tutela dalle
mani del cedente a quelle del cessionario, ma l’oggetto
della cessio era solo l’esercizio della tutela medesima. Van
Oven, con ragione, vede nel tutor cessicius non un tutore
nel pieno dei suoi poteri ma un rappresentante del tutor
legitimus. La ratio dell’istituto, ad avviso dello studioso,
era quella di essere a servizio del tutor legitimus, il quale
non voleva o non poteva, per varie ragioni, esercitare la
tutela. L’in iure cessio era solamente uno strumento per
attribuire al proprio rappresentante una posizione giuridica
incontestabile. Il ruolo del tutor cessicius era, senza
dubbio, limitato: non poteva, a sua volta, cedere l’esercizio
della tutela; in caso di decesso o capitis deminutio la tutela
tornava al cedente; se gli stessi eventi colpivano il cedens
la tutela cessicia veniva meno e il diritto e l’esercizio della
tutela passavano all’agnato di grado ulteriore. Van Oven
109 VAN OVEN J. C., Laudatio Turiae, 1. 13-26, in RIDA
3[Mélanges De Visscher II] (1949), 385.
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