pater familias

in manum, che potessero costituire un ostacolo per il
raggiungimento degli scopi prefissati dalla donna 401 .
Contro l’opinione di Messina osservo che, se è vero che il
marito acquistava i beni muliebri dotis nomine, anche al
fiduciario i beni in oggetto non venivano trasferiti
illimitatamente ma, appunto, “fiduciariamente”,
circostanza che lo obbligava alla restituzione quanto colui
che aveva divorziato dalla moglie. Sicuramente negare che
la coemptio fiduciaria potesse produrre effetti sfavorevoli
per la mulier semplificherebbe, in merito a questo aspetto,
una procedura già di per sé complessa, ma, come
giustamente osserva Astolfi, se per la donna si
verificavano gli effetti favorevoli della manus, non è
verosimile credere che non si concretizzasse anche lo
svantaggio del trasferimento dei suoi beni al
coemptionator 402 .
A mio parere si potrebbe, piuttosto, ipotizzare che la
coemptio, la remancipatio e la manumissio si verificassero
nello stesso giorno davanti ai testimoni, al libripens e con
l’intervento del pretore; a favore di questa supposizione sta
il fatto che, come è noto, in epoca tardo repubblicana
anche la procedura della manumissio vindicta si era
semplificata. Le persone presenti, soprattutto il pretore,
avrebbero garantito il susseguirsi dei tre atti e non vi
sarebbero stati rischi per la donna.
Se questa ipotesi appare troppo azzardata, si può sempre
rivalutare quella del pactum fiduciae, con cui il
coemptionator si sarebbe impegnato a rescindere gli effetti
della coemptio tramite la restituzione del patrimonio dopo
401 MESSINA, L., “ Coemptio sacrorum interimendorum causa”,
cit., 431 ss. Si esprime così, brevemente, anche BARTOCCI U., Le
species nuptiarum, cit., 126.
402 ASTOLFI R., Il matrimonio, cit., 269.
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