pater familias

Inoltre aggiungo che se il tutore era stato obbligato dal
pretore a prestare l’auctoritas doveva darla, a quel punto,
solo dicis causa, perciò il suo consenso non influiva più
sulla validità dell’atto, dato che la donna era stata
autorizzata dal pretore a compiere il negozio. Quindi,
anche per questo motivo, non è pensabile che la mulier
avesse bisogno di intentare un’ actio contro il tutore.
Per concludere sottolineo che, in questo caso, il regime
previsto per l’impubere era esattamente opposto rispetto a
quello per le mulieres. La donna, almeno da una certa
epoca, come si vedrà meglio in seguito, potè rivolgersi al
pretore, per ottenere la coercitio del consenso tutorio ad
actum, mentre non poteva agire con actio tutelae, a causa
dei motivi specificati supra. Perciò basti considerare che
nel caso in cui il tutore fosse stato anche amministratore
del patrimonio muliebre, i rapporti fra le parti si sarebbero
regolati sulla base del mandato o della gestione d’affari.
Invece per quanto riguarda il pupillo, come ci spiega Paolo
in D. 26,8,17, “il pretore non poteva costringere il tutore a
prestare l’auctoritas, perché sarebbe stato ingiusto, sia se
ciò convenisse al pupillo che in caso contrario, in quanto
l’impubere sarebbe stato risarcito tramite actio tutelae.”
1.2. Atti con auctoritas e sine tutoris auctoritate.
Chiarito quale fosse il ruolo del tutore muliebre, vediamo
quali erano gli atti giuridici rientranti nella sfera di
controllo del tutor, ancora in epoca classica, Ulpiano
elenca i principali ambiti in cui la donna doveva agire
tutore auctore:
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