pater familias

cui fosse stata realizzata la divisione del patrimonio
paterno; in tal caso, come attestano le fonti pervenuteci 149 ,
per il perfezionamento di qualsivoglia negozio giuridico
afferente ai beni muliebri, salvo quelli di scarsa
importanza economica, sarebbero stati necessari la
presenza e la volontà della donna, oltre all’auctoritas dei
tutori, perché solo la mulier avrebbe avuto la titolarità del
patrimonio di cui disporre. La donna, quindi, prima della
divisio, risultava proprietaria di una potenziale titolarità
ereditaria, come se si trattasse di una sorta di “nuda
proprietà” su una quota parte di un tutto.
È errato, invece, vedere nel consortium un elemento
probante dell’esclusione delle mulieres, ab antiquo, dalla
successione ab intestato 150 e/o della permanenza delle
stesse nella condizione di alieno iuri subiectae. Questa
opinione è stata sostenuta da ultimo da Monaco 151 , la
quale, per escludere che le donne abbiano fatto parte della
societas consortile, fa leva sul fatto che Gaio abbia citato i
fratres e non le sorores; tuttavia, a parere di chi scrive, il
dato linguistico non si può considerare decisivo.
Pensare alle donne come membri passivi di una societas, la
quale si creava in automatico fra coloro che erano stati
soggetti alla potestà di un unico capostipite, non appare
inverosimile, se si tiene conto che la donna avrebbe potuto
ottenere l’autonomia tipica dell’essere erede e sui iuris
tramite la divisio del patrimonio comune. Certo, la
divisione in quote individuali delle ricchezze paterne
149 Vd. infra cap.2 § 1.2.
150 MONACO L., Hereditas e mulieres , ultimo cit., 31s.. L’autrice
crede che l’allagamento del diritto successorio a favore delle donne
non sia riferibile all’età arcaica.
151 MONACO L., Hereditas e mulieres, ultimo cit., 32.
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