pater familias

in cui la donna sui iuris avesse contratto un matrimonio
accompagnato dalla conventio in manum, ma se la scelta
fosse caduta su un’unione sine manu, che era ormai la
regola in epoca tardo repubblicana, la novella sposa
sarebbe rimasta sottoposta al controllo dei suoi tutori in
perpetuo, quindi anche a lei avrebbe fatto comodo la
possibilità di scegliere a suo piacimento il tutore almeno
quanto questa facoltà risultava gradita alla vedova univira.
Una seconda motivazione risale a Huschke 320 , il quale ha
ipotizzato che la condizione sfavorevole della filia familias
fosse causata dalla natura dei beni da lei ereditati dal pater
familias: alla filia spettavano cespiti di esclusiva
provenienza paterna, quindi appartenenti al patrimonio
agnatizio, mentre alla vedova in manu, sostanzialmente,
era restituito quanto lei stessa aveva apportato al marito a
titolo di dote; tale constatazione può costituire il motivo
per cui era meno sentita l’esigenza di mantenere la vidua
sotto il controllo degli agnati. Tuttavia mi pare che anche
questa spiegazione non tenga conto, come la precedente, di
alcune circostanze che potevano verificarsi. Innanzitutto
non sempre veniva costituita una dote per la uxor in manu:
perciò non necessariamente la quota che spettava alla
donna alla morte del marito- pater familias sarebbe stata
composta da beni dotali 321 . Questa motivazione, quindi,
può spiegare alcuni casi specifici ma non può costituire
320 Cfr. HUSCHKE P.E., De privilegiis Fecenia Hispalae
senatusconsulto concessis. Dissertatio, Göttingen 1822, 55; seguito
da ZIMMERN S.W., Geshichte des römischen Privatrechts bis
Justinian, I, 2, Heidelberg 1826, 871 e RUDORFF A.A.F., Das
Recht der Vormundschaft aus den gemeinen in Deutschland
gettenden Rechten entwichelt, I, Berlin 1832, 276 s.
321 Come osserva lo stesso HUSCHKE P.E., Rec. a ZIMMERN
Geshichte des römischen Privatrechts, cit., Kritische Zeitschrift für
Rechtswissenschaft, V, 2 (1829), 285.
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