pater familias

fiduciaria le servisse solo nel caso in cui il tutore si
rifiutasse di farsi auctor: il magistrato non poteva
costringere il tutor a dare il consenso alla redazione del
testamento, ma la coercitio poteva attuarsi per ottenere
l’auctoritas alla coemptio. Quindi, secondo Schupfer, la
coemptio fiduciaria testamenti faciendi gratia era un
escamotage per togliere il testamento dal controllo del
tutore reticente. Questa tesi non corrisponde a quanto
riferito da Gaio in merito all’istituto in esame.
Volterra 414 , in un primo contributo sul tema, partendo dal
presupposto che per lungo tempo la donna priva di
ascendenti restasse soggetta alla potestas del gruppo
agnatizio, ha ipotizzato che la coemptio servisse alla
mulier per passare dalla condizione di alieni iuris a quella
di sui iuris. Va però osservato che, secondo la communis
opinio, alla morte del pater sia i filii che le filiae familias
diventavano sui iuris, e che l’essere sui iuris non era solo il
requisito per disporre mortis causa dei propri beni ma
proprio per essere titolari di un patrimonio. Ritengo logico,
perciò, contro l’opinione di Volterra, desumerne che la
donna determinata a fare testamento, la quale si accingesse
ad attuare a tale scopo la coemptio, avesse già dei beni di
cui disporre, e fosse quindi già sui iuris 415 . L’unico
ostacolo che, quindi, sembra non permettesse alle donne di
avere la capacità di testare era quello di avere dei parenti
prossimi, per liberarsi dei quali esse dovevano subire una
capitis deminutio. L’interesse da salvaguardare, superiore
ad ogni altro diritto, era quello di mantenere integro il
patrimonio agnatizio, di cui le quote appartenenti alle
414 VOLTERRA E., Sulla capacità delle donne, cit., 84 e 86.
415 Su quest’ultima affermazione CASTRO SÀENZ A., Herencia y
mundo antiguo. Estudio de derecho sucesorio romano, Universidad
de Sevilla, 2002, 93.
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