pater familias

Il fatto che, ormai, la donna, attraverso la tutoris optio e la
coemptio tutelae evitandae causa, potesse scegliere il
proprio tutore testamentario o cambiare il tutor che le
fosse stato assegnato e che non gradiva avvalora
l’affermazione dell’Arpinate. Ormai erano i tutori ad
essere soggetti, nelle loro funzioni, alla volontà delle
mulieres. Alcuni studiosi, alla luce dell’affermazione
ciceroniana, hanno addirittura ritenuto, come abbiamo
accennato sopra, che “spesso le donne scegliessero come
tutori dei liberti propri o del marito, che erano loro
socialmente subordinati 318 ”.
318 Cfr. FAYER C., La familia romana. Aspetti giuridici ed
antiquari. Sponsalia matrimonio dote, II, Roma 2005, 261 s. nt.
245. Due epigrafi, rinvenute a Roma, sembrano testimoniare dei
casi in cui le donne avevano un tutor liberto. Il primo caso,
conservato in CIL VI.2650, dell’ inizio del II secolo d.C., riguarda
Furfania Saturnina, la quale sull’epitaffio della tomba di famiglia
cita nella dedica come suo tutore M. Valerius Hesychus, il liberto
di suo marito M. Valerius Ismarus, assieme ad altri ex-schiavi.
Anche un altro epitaffio (Vd. CIL VI.7468), dello stesso periodo,
illustra, probabilmente, una situazione simile: sull’epigrafe
sepolcrale della famiglia di Ostoria Acte si legge che M. Ostorius
Lamyrus è suo tutore. Il fatto che Acte e Lamyrus abbiano lo stesso
nomen, che la tomba sia della donna e che il tutore sia nominato
insieme ai liberti e alle liberte di Ostoria Acte fa presumere che
anch’egli sia un suo liberto. Cfr. EVANS GRUBBS J., Women and
the law in the roman Empire: a sourcebook on marriage, divorce
and widowhood, London and New York, 2002, 32 s.
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