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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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128SAGGI E OPINIONISi nota, in linea di massima, un affievolimento dell’obbligo a rispondere all’interrogatorio,e a rispondere il vero, mentre si fa lentamente largo l’ideache nessuno possa essere tenuto ad accusare se stesso( 72 ).Vi è chi, come Franchino Rusca, adombra l’esistenza di un vero e proprio‘diritto dell’imputato a rimanere in silenzio’, enunciazione sorprendentementeanticipatrice di quelle che saranno conquiste dei secoli futuri.Individuando nei principali e originari diritti di natura la fondamentalelegge che impone a ciascuno la conservazione di se stesso, nessuna legislazione,secondo l’autore, può esigere da un uomo che egli diventi strumentodella sua morte, ponendo quasi in mano al carnefice la scure «per boccasua stessa»( 73 ). La lunga dissertazione, svolta dall’autore al fine di confutarel’uso della tortura nei confronti dell’indagato silenzioso, è un piccoloscrigno di indicazioni sulle ragioni che militano a favore del sovvertimentodella prassi in atto, accreditata presso i tutti i tribunali, ma foriera di iniquità.Rusca non si accontenta di ciò. Egli rifiuta anche il parere di chi, purlasciando intravedere un’intima ripugnanza verso il ricorso alla violenza fisica,mostra di non saper rinunciare alla parola dell’indagato. Taluni, infatti,suggerivano di soppiantare l’uso della quaestio con la minaccia rivoltaall’inquisito di considerare il suo silenzio come un indizio indubitato( 74 ),bastevole a renderlo convinto e quindi a condannarlo legittimamente allapena ordinaria( 75 ). Sprezzante dell’intimidazione ed incurante dellospettro della pena, l’accusato poteva tuttavia decidere di persistere in un( 72 ) Cfr. T. Hobbes, Leviatano, trad. it., Roma 2000, pp. 151-152. Si tratta della prima«massima del garantismo processuale accusatorio» (L. Ferrajoli, Diritto e ragione cit., p.623). Anche Tommaso Briganti sul punto velatamente interviene; mentre istruisce il giudicesul comportamento da tenere di fronte all’interrogato, lo ammonisce che nessuno «è obbligatosempre di palesare tutto quello, che ha nell’animo» e che il rapporto tra inquirente edaccusato non deve ricalcare quello tra confessore e penitente. «È cosa certa» – prosegue Briganti– «che Iddio ci ha tanto raccomandato il silenzio per tacere certe verità dannose, quantoci ha dato la facoltà del parlare per pubblicare le necessarie» (T. Briganti, Pratica criminalecit., tit. V, n. 33, p. 208 e n. 48, p. 212). Si veda anche F. Carrara, Programma cit., §932, p. 449, nt. 1.( 73 ) L’Autore configura in capo ad ogni uomo un dovere a conservare se stesso, e ciò lodispensa dal rispondere al giudice se ciò sia per lui in qualche modo dannoso (F. Rusca,Osservazioni pratiche sopra la tortura, Lugano 1776, p. 21).( 74 ) Sul delicato problema posto dagli indizi indubitati, terreno di incontro tra valorelegale della prova e libero convincimento del giudice, mi si consenta di rinviare al mio Il diabolicointreccio cit., pp. 387-419.( 75 ) Di simile avviso era Pietro Verri, che, pur avendo consegnato alla memoria paginedi non comune bellezza sulle ragioni militanti a favore dell’abolizione della tortura, cerca,tuttavia, di trovare modi indiretti per costringere «a rispondere un uomo che interrogatodal giudice si ostina al silenzio», giungendo a schierarsi a favore di quanti sostenevano«che una sola legge che abrogasse la tortura sarebbe dannosa al corso della giustizia, qualoracontemporaneamente non venisse promulgata l’altra che dichiarasse convinto» chi ricusi di

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