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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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172SAGGI E OPINIONImostrasse una sostanziale continuità con la legislazione precedente( 215 ).L’art. 261 del testo definitivamente approvato così recitava: «il giudice contestain forma chiara e precisa all’imputato il fatto che gli è attribuito, gli fanoti gli indizi esistenti contro di lui e, se non possa derivarne pregiudizioall’istruzione, gli indica anche le fonti di essi.Il giudice invita quindi l’imputato a discolparsi e a indicare le prove insuo favore, avvertendolo che, se anche non risponda, si procederà oltre nell’istruzione».Lo stesso si disponeva nell’art. 388, relativo all’interrogatorio nella fasedel giudizio( 216 ).Il dibattito acceso e i continui interventi sul tema in sede di lavori preparatorinon erano però stati vani. La formulazione della norma è solo apparentementeneutra, e sembra, piuttosto, lasciar filtrare sotto traccia talunispazi di libertà. Quanti plaudivano al legame con il passato( 217 ) non si avvedevanoin realtà del cambiamento di prospettiva avvenuto rispetto all’art.236 del c.p.p. del 1865. Lì il giudice aveva sì l’obbligo d’informare l’impu-dere, è più, dirò così, riservata, ma non meno chiara di quella usata dai progetti e da altreleggi. [...] Il silenzio è, pertanto, niente altro che esercizio di un diritto, non contegno irriverenteverso il giudice, non ammissione dell’accusa» (R. De Notaristefani, Commentocit., pp. 458-9). Cfr. anche A. Bruno, Codice di procedura <strong>penale</strong> del Regno d’Italia illustratocon i lavori preparatori, Firenze 1915, p. 241, nt. 1; M. Pinto, Manuale di procedura <strong>penale</strong>illustrativo del Nuovo Codice, Milano 1921, pp. 182-4; S. Graziano, La difesa <strong>penale</strong> cit.,pp. 823-5.( 215 ) Era quanto richiesto da Stoppato, il quale nella sua Relazione, richiamando il codicevigente, sollevava un’obiezione: «non è difficile riconsacrare questo principio nella nuovaprocedura disponendo che il giudice contesta il fatto, e invita l’imputato a fare le sue dichiarazionie indicare le prove a discolpa, avvertendolo che se ricusi di rispondere la causaproseguirà egualmente» [Camera dei deputati, Relazione della Commissione sul progetto delcodice di procedura <strong>penale</strong> per il Regno d’Italia e sul disegno di legge che ne autorizza la pubblicazione,n. 77, p. 274, in Commento al codice di procedura <strong>penale</strong>, parte prima Lavori preparatori,vol. III Lavori parlamentari (relazioni, discussioni), Torino 1915). Anche Ferri esaltavala scelta del codice vigente e la formula limpida e positiva dell’art. 233 [Commento alcodice di procedura <strong>penale</strong>, parte prima Lavori preparatori, vol. III Lavori parlamentari (relazioni,discussioni), Torino 1915, p. 360].( 216 ) «Adempiuto a quanto è prescritto nel precedente articolo, e qualora in seguito aiprovvedimenti pronunciati il giudizio debba proseguire, chi dirige l’udienza procede all’interrogatoriodell’imputato. All’uopo gli domanda il nome, il cognome, l’età e altre qualitàpersonali; indi gli contesta in forma chiara il fatto che gli è attribuito e lo invita a esporrele discolpe, e tutto ciò che ritenga utile alla propria difesa, avvertendolo che, anche senon risponda, il dibattimento sarà continuato. All’imputato possono essere rivolte in qualsiasimomento interrogazioni su singoli fatti o circostanze».( 217 ) Cfr. ad es. L. Mortara –U.Aloisi, Spiegazione pratica cit., p. 538, dove si insisteche si tratta di un semplice avvertimento sprovvisto di sanzione, inteso non tanto a riconoscereun principio di ragione naturale che sarebbe stato peraltro inutile sancire (e cioèche l’imputato non può essere costretto a rispondere alle domande del giudice), quanto adaffermare che dal silenzio dell’imputato la legge non trae alcuna conseguenza riguardo allasua colpevolezza.

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