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SAGGI E OPINIONI169che ovviassero all’inopportuna veste formale impressa alla norma, quantunqueMortara riconoscesse che l’estensore era senz’altro animato dal desideriodi agevolare la vittoria della giustizia nella lotta condotta contro ilcrimine. La Relazione evitava di procedere ad un esame analitico dei singoliarticoli, preferendo concentrare l’attenzione sulle modifiche da introdurre:per il profilo che qui rileva il principio generale suggerito era quello di nonpredisporre sanzione alcuna, essendo il silenzio una facoltà di cui ogni personasottoposta a procedimento poteva liberamente avvalersi( 205 ).Questa linea fu condivisa da molti. Fra tutti giganteggia Enrico Ferri, ilquale arrivò a sostenere che una vera e propria fobia di non interrogarel’imputato aveva preso i redattori del progetto e che il ritornello costantementepresente nel codice «per cui bisogna dire all’imputato bada che nonhai l’obbligo di rispondere» doveva considerarsi un lapsus calami da cancellaresenza timore alcuno( 206 ).Mortara, Ferri, Stoppato, Canevari, per citarne alcuni, fecero dunquesentire la loro voce autorevole contro il mantenimento di una similenorma( 207 ). Il loro peso fu decisivo nel decretarne l’affossamento. Una pri-( 205 ) Senato del Regno (n. 544-A), Relazione della commissione speciale sul nuovo codicedi procedura <strong>penale</strong> presentato dal Ministro di grazia e giustizia e dei culti nella tornata del 23maggio 1911, Roma 1912, pp. 32 e. 34. Tali principi erano ripresi, e se possibile maggiormenteevidenziati, in tema di dibattimento. La Commissione riteneva che nell’udienza pubblica,in particolare quella da tenersi di fronte alla Corte d’Assise, le finalità della giustizia sipotevano meglio raggiungere eliminando la forma vera e propria dell’interrogatorio e sostituendolacon un sistema ritenuto ‘semplice e razionale’: il giudice, o il presidente, aveva ilsolo onere di informare l’accusato del fatto a lui addebitato e di avvertirlo della facoltà diesporre le proprie discolpe. Si eliminava così il «preconcetto che le dichiarazioni dell’accusatodebbano promuoversi mediante interrogatorio a cui però egli abbia il diritto di non rispondere».E di nuovo si ribadiva la necessità di dispensare il magistrato «dall’umiliante obbligodi accompagnare le interrogazioni coll’avviso del diritto di non rispondere» (ivi, p. 45).E così nei Voti della Commissione al punto XVIII si invitava a sostituire alla forma esistentel’avvertimento che l’imputato godeva della facoltà di esporre le sue discolpe e che quandoegli se ne avvaleva il presidente aveva la facoltà di aggiungere, di propria iniziativa o a richiesta,domande di chiarimenti (ivi, p. 62).( 206 ) L’intervento di Enrico Ferri è mirabile per la sprezzante ironia, la profonditàscientifica e l’icastica struttura sintattica: «ora ve lo immaginate voi un giudice che dice algiudicabile: tu sei imputato di aver rubato, ferito, ucciso: ora dimmi come è andata la cosa;bada però che non sei obbligato a rispondere! Ma allora che serietà, che autorità può avere ilgiudice istruttore, il giudice di pubblica udienza? [...]». Ferri riesuma vecchie impostazioni:«badate bene che l’innocente, imputato in un processo <strong>penale</strong>, fin dal primo momento diceapertamente l’animo suo perché non ha che da dire la verità. Chi si riserva e tace è il delinquentepiù scaltro, più pericoloso» [Commento al codice di procedura <strong>penale</strong>, parte prima Lavoripreparatori, vol. III Lavori parlamentari (relazioni, discussioni), Torino 1915, p. 360. Cfr.M. N. Miletti, Un processo cit., pp. 288-91 e 334-8).( 207 ) La ferma opposizione di Stoppato fu espressa nella sua Relazione al grido «No,noi questa imposizione non la approviamo!». Se l’imputato andava considerato come soggettoavente diritto di parlare o di tacere e non come strumento di cui il giudice dovesse avva-

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