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SAGGI E OPINIONI81imprenditoriali italiane hanno tempestivamente predisposto( 177 ) – non determinaalcuna automatica esclusione della responsabilità degli enti che lirecepiscono, in quanto essi costituiscono delle semplici indicazioni di massimadirette a favorire uniformità di approccio e sensibilizzazione alle problematiche(178 ): ogni ente è tenuto ad adottare un modello individuale, costruito– come insegna la preziosa esperienza statunitense dei complianceprograms – in base alle caratteristiche concrete dell’ente stesso, dovendosiperciò tener conto delle dimensioni dell’impresa (size of the organization),del tipo di attività esercitata (the nature of its business) e della storia precedentedella società (prior history of the organization), fattore quest’ultimoche può contribuire all’individuazione dei punti deboli della gestione e suggerirequindi i correttivi da apportare per eliminare le disfunzioni interne(179 ); né alcun valore vincolante ha per il giudice la positiva valutazioneministeriale dei codici di comportamento( 180 ).In ultima analisi, spetta al giudice <strong>penale</strong> il sindacato sull’idoneità delmodello organizzativo: egli deve verificare l’adeguatezza del modello a prevenireil rischio di commissione di reati all’interno dell’ente tramite il criteriodella prognosi postuma, collocandosi mentalmente ex ante nel momentoin cui, all’interno della realtà aziendale, si è verificato l’illecito <strong>penale</strong>(181 ). Il criterio è lo stesso utilizzato per verificare l’idoneità degli( 177 ) Tra le associazioni che hanno provveduto ad emanare i codici di comportamentosi segnalano: CONFINDUSTRIA, ABI, ANCE, ANIA, ASSONIME, ASSOSIM, ASSO-BIOMEDICA. Tali documenti integrano i precetti normativi contenuti nel d. lgs. n. 231/2001 con le indicazioni provenienti dalla scienza aziendalistica e dalla migliore prassi internazionale.( 178 ) Sul punto cfr. S. Bartolomucci, Codici comportamentali di categoria, tra aspettativee reale portata normativa, inDir. prat. soc., 2003, n. 18, 37 ss., il quale rileva che «permanein capo al singolo associato il rischio della conformità e congruenza dei modelli concretamenteadottati, pur uniformandosi alla raccomandazioni categoriali»; D. Pulitanó, Laresponsabilità ‘‘da reato’’ degli enti: i criteri di imputazione, op. cit., 438: «Linee guida di categoriapossono aiutare il singolo ente nell’adempimento dei suoi doveri di buona organizzazione,ma non servono a risolvere il problema dell’eventuale colpa di organizzazione,con riferimento a vicende concrete di singoli enti». Critico nei confronti dei codici di comportamentoè P. Bastia, op. cit., 55, il quale registra «l’incongruenza di fondo nel voler fareriferimento a codici prodotti all’esterno dell’azienda, da parte di associazioni, che naturalmentepossono solo proporre degli standard generali che non potranno immediatamenteadattarsi alle singole fattispecie aziendali, alle peculiarità organizzative, alle specificità gestionali»,rivestendo al più il ruolo di «linee guida utili per una progettazione a fini interni: dasoli, infatti, essi rischieranno di risultare inefficaci allo scopo e dannosi in termini di burocratizzazionedel sistema aziendale».( 179 ) Cfr. C. De Maglie, op. ult. cit., 369 s.( 180 ) In tal senso v. V. Salafia, La responsabilità delle società alla luce del D.M. n. 201/2003 e delle modifiche al D.Lgs. n. 231/2001, inLe soc., 2003, 1436, il quale nota altresì chela valutazione ministeriale «rappresenta un’autorevole opinione, che potrà certamente esseredisattesa, in presenza però di valide giustificazioni».( 181 ) Cfr. G. Izzo, Sindacato giudiziario sull’idoneità dei modelli organizzativi, inIl fi-

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