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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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SAGGI E OPINIONI239mo est quin intelligat, ruere illam rempubblicam. Haec ubi eveniunt nemoest quin ullam spem salutis reliquam esse arbitretur»( 25 ). Un passo del digestoafferma che: «singulis controversiis, singulas actiones unumque judicatifinem sufficere probabili ratione placuit ne aliter modus litium multiplicatussummam atque inexplicabilem faciat difficultatem, maxima si diversa pronunziaretur»(26 ). Ma se il fondamento politico del giudicato <strong>penale</strong> èuna costante nello svolgersi delle esperienze normative della storia, diversoè stato il fondamento giuridico che la dottrina, nel corso dei secoli, ha ricollegatoall’intangibilità del giudicato <strong>penale</strong>. I romani per giustificare giuridicamenteil giudicato, la ‘‘res judicata’’, enuclearono un principio: «resjudicata pro veritate accipitur»( 27 ). Questa famosa massima fu formulatada Ulpiano con riferimento ad un specifico tipo di sentenza, per motivarequanto aveva detto circa la sua efficacia. La generalizzazione della massimafu assai posteriore e deve verosimilmente ascriversi ai compilatori del digesto,i quali stralciarono la motivazione dal contesto originario e la riprodusseroisolata nel fr. 207 del titolo 50, 17, avente la rubrica De diversis regulisiuris antiqui. Con questa massima i giuristi romani intendevano affermareche la ‘‘res judicata’’ era una fonte autonoma di situazioni giuridiche, che siponeva nell’ordinamento giuridico non già come verità, ma al posto dellaverità: «sententia facit ius»( 28 ). Nelle Istituzioni, a tal proposito, Chiovendaaveva osservato: «non pensarono affatto i romani ad attribuire a quello chedice il giudice, per ciò solo che lo dice il giudice, una presunzione di verità;ed anche il testo famoso ‘‘res judicata pro veritate accipitur’’ vuol dire soltantoche la pronunzia del giudice, si ha, non già ‘‘come’’ verità, ma ‘‘invece’’della verità»( 29 ).Le potenzialità concettuali, racchiuse nella regula e nella sua generalizzazione,furono espresse e messe a profitto per vasti sviluppi dagli interpretimedievali e moderni delle fonti romane. I giuristi medievali collocaronola massima ‘‘res judicata pro veritate accipitur’’ sul terreno probatorio e viscorsero il principio secondo cui quanto era stabilito nel giudicato si presupponevavero e giusto senza possibilità di prova contraria. Il primo spuntodi una valutazione del giudicato sotto il profilo della prova si trova nelleQuestiones de iuris subtilitatibus, attribuite da Fitting a Irnerio e ora ritenuteopera di un ignoto glossatore del XII Secolo. Nel titolo De probationibusè presente una proposizione, che in pochissime parole enuncia quellache, per l’autore, sarebbe l’essenza del giudicato: «res apud iudicem queri( 25 ) Cicerone, Orat. in Verrem, II, lib. V, c. 6.( 26 ) L. 6 Dig. XLIV, 2( 27 ) Ulpiano, D. 1, 5, 25.( 28 ) D. 25, 3, 3 pr., Ulp. 34 ad ed.; D. 30, 50, 1, Ulp. 24 ad Sab.; D. 49, 1, 14 pr., Ulp.14 ad ed.; D. 5, 2, 17, 1, Paul. 2 quest.( 29 ) Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1960, p. 321.

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