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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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STUDI E RASSEGNE319sendosi ormai tradotto il concetto di schiavitù in una nozione storica e culturale,il significato della locuzione ‘condizione analoga’ può essere determinativamenterecepito dai destinatari del precetto <strong>penale</strong>’’ come descrittivodella condizione di un individuo che – in conseguenza ‘‘dell’esercizioda parte di taluno di attributi del diritto di proprietà’’ – si trovi ‘‘(pur conservandonominativamente lo status di soggetto dell’ordinamento giuridico)nell’esclusiva signoria dell’agente, il quale materialmente ne usi, netragga frutto o profitto e ne disponga, similmente al modo in cui, secondole conoscenze storiche, confluite nell’attuale patrimonio socio-culturaledella collettività, il padrone un tempo esercitava la propria signoria sulloschiavo’’( 27 ).In dottrina non mancarono voci critiche, secondo le quali la Corteautorizzava esplicitamente il giudice di merito a fare ricorso, nella individuazionedel fatto penalmente rilevante, al procedimento analogico, in violazionedell’art. 25, comma 2, Cost.( 28 ). Non si sono invece registrate opinionidissenzienti né nella giurisprudenza di merito né in quella di legittimità( 29 ).di schiavitù, tra le quali si segnala, per la sua aderenza all’attuale realtà criminologia, quellaprevista dalla lett. d): ‘‘ogni istituzione o pratica in forza della quale un fanciullo o un adolescenteminore degli anni diciotto è consegnato sia dai suoi genitori o da uno di loro, sia daltutore, ad un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o dellavoro di detto fanciullo o adolescente. E tuttavia, in seno a tale orientamento, non sonomancate pronunzie di merito che hanno ulteriormente sviluppato l’impostazione appena riportata,fino a rischiare, però, di pregiudicare il principale pregio e cioè quello di puntare adun equilibrato compromesso tra l’esigenza politico-criminale di praticare una interpretazioneaggiornata della fattispecie di riduzione in schiavitù adatta a punire qualsiasi pratica riconducibileal fenomeno dei bambini argati, e la non meno rilevante esigenza di mantenere lanorma <strong>penale</strong> entro limiti di elasticità applicativa compatibili con il principio costituzionaledi determinatezza e tassatività’’.( 27 ) Cass., Sez. Un., 20 novembre 1996, Ceric, cit., p. 713 ss. In dottrina, si veda, M.Solaroli, Il delitto di riduzione in schiavitù, come fattispecie a forma vincolata, inDir. pen.proc., 1997, p. 713; E. Amati, Sul concetto di ‘‘condizione analoga alla schiavitù’’,inCass.pen., 1998, p. 36 ss.( 28 ) Cfr. F. Viganò, Sub art. 600, inDolcini -Marinucci (a cura di), Codice <strong>penale</strong>commentato, pt. II, vol. II, 1999, Milano, p. 3118 s.; M. Solaroli, Il delitto cit., p. 713 ss.,quest’ultimo rileva che ‘‘la previsione di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra, piuttostoche fornire un elenco tassativo di «condizioni analoghe» alla schiavitù, risponde piuttosto allaratio di estendere quanto più possibile la tutela della persona umana, specificando l’applicabilitàdella convenzione anche a situazioni di fatto e di diritto che la concisa definizione dell’esclavagein apparenza non era idonea a ricomprendere e che invece sono vere e proprie«forme di manifestazione» della schiavitù. Ma anche ammesso che l’elenco delle «condizionianaloghe» di cui all’art. 1 della Convenzione del 1956 debba considerarsi tassativo, l’opinioneriferita non risulterebbe del tutto convincente. Appare piuttosto evidente l’incongruenza insitanel ritenere, da un lato, che la condizione analoga sia ravvisabile anche in una situazionedi fatto, per poi escludere, dall’altro, che tali situazioni possano essere diverse da quelle previstedalle fonti normative da invocarsi in via esclusiva ad integrazione della norma <strong>penale</strong>’’.( 29 ) Per la giurisprudenza di legittimità, si veda, tra le altre, Cass., Sez. III, 7 luglio1998, Matarazzo, in CED Cass., rv. 211543, la pronuncia rileva come ‘‘la nozione di condi-

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