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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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SAGGI E OPINIONI79(minima) della clausola generale di cui all’art. 7, comma 3( 167 ). È evidente,infatti, che qualunque modello organizzativo deve essere forgiatoin funzione della natura e della dimensione della societas, oltrechedeltipo di attività svolta (commerciale, industriale, finanziaria, ecc.), comportandotali fattori diverse scelte in termini di modalità di strutturazione delmodello (delega di poteri ed estensione dei poteri delegati, natura e gradazionedei rischi di commissione dei reati giacché diverse possono esserele potenziali modalità attuative degli stessi)( 168 ). Inoltre, le pur innegabilidifferenze nelle procedure e nei controlli postulate dalla diversità dei soggettiattivi possono essere comunque salvaguardate e distinte nell’ambitodi un’unica procedimentalizzazione di regole e comportamenti( 169 ).Stesso discorso deve farsi riguardo all’organo di controllo sul funzionamentoe sull’aggiornamento del modello, espressamente richiesto dall’art.6, ma non dall’art. 7: un’interpretazione teleologica conduce necessariamentea ritenere l’organismo di vigilanza nient’altro che una specializzazionedella funzione di controllo enunciata dall’art. 7, comma 2( 170 ),anche se vi è chi reputa che estendere la previsione dell’organo di vigilanzaal modello organizzativo inerente i reati dei sottoposti equivalgaad introdurre un elemento impeditivo della fattispecie che non è ‘‘scritto’’nella legge, con conseguente violazione del principio di legalità, che ha tra( 167 ) In tal senso v. P. Sfameni, La responsabilità delle persone giuridiche: fattispecie edisciplina dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, in AA.VV., Il nuovo diritto <strong>penale</strong>delle società, op. cit., 70s.( 168 ) Cfr. P. Sfameni, op. cit., 71. Di diverso avviso sono A. Frignani-P. Grosso-G.Rossi, La responsabilità, op. cit., 168 s., secondo cui la necessità di uno sdoppiamento deimodelli deriva dalla natura dualistica del sistema di responsabilità, dai differenti presuppostisu cui si basa la responsabilità dell’ente in relazione ai reati commessi dai vertici e dai sottopostie dalle diverse funzioni che i modelli dovranno svolgere nei due casi; F. Santi, op. cit.,330 s., il quale distingue fra modelli di primo (soggetti apicali) e di secondo livello (sottoposti),pur riconducendo entrambi i modelli al principio unitario dell’esigenza che tutta l’attivitàdell’ente, in ogni comportato o manifestazione, sia improntata a canoni etici comunementecondivisi e che siano adottate tutte le misure necessarie ad evitare la commissionedi reati; la funzione e la struttura dei due modelli si diversificherebbero in virtù della differentenatura, qualità e posizione nell’organizzazione dell’ente di apicali e sottoposti, dovendoil modello di secondo livello indicare le linee di comportamento di un soggetto che agisce peraltri, che deve rendere conto e che è strumento di un decisore, quale è il soggetto apicale.( 169 ) Cfr. F. Maimeri, Controlli interni delle banche tra regolamentazione di vigilanza emodelli di organizzazione, inRiv. dir. comm., 2002, I, 622.( 170 ) Cfr. P. Sfameni, op. cit., 88. Vi è chi ritiene che dalla mancata previsione dell’organodi controllo nell’art. 7 possa desumersi la non imposizione di una competenza accentratadell’organo di vigilanza con riferimento ai sottoposti, potendo in tal caso la funzione divigilanza essere affidata ad altri organi e funzioni interne (dotati delle competenze necessariead assumere decisioni effettive), dato che la qualifica non apicale dei destinatari del modellonon rende più necessaria una posizione di terzietà e indipendenza dei responsabili del controllorispetto ai vertici aziendali (A. Frignani-P. Grosso-G. Rossi, op. ult. cit., 179).

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