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SCARICA IL DOC. ALLEGATO : indice_penale_1_2006.pdf

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258STUDI E RASSEGNEto ‘‘bene di civiltà’’( 2 ). Con questa formula si è soliti designare l’attitudinedella religione, qualunque essa sia, a fungere da fattore di coesione fra tutti imembri di una collettività, sì da agevolarne, appunto in forza di questo elementocomune che li avvince, il rispetto delle norme che lo Stato loro indirizza.In sostanza, l’omogeneità culturale radicata sul comune sentire religioso,sempre ovviamente che quest’ultimo non sia antinomico al contenutodelle pretese statuali, faciliterebbe la loro introiezione da parte dei rispettividestinatari. In quest’ottica, la religione vedrebbe quindi confermata la propriavalenza di instrumentum regni.Dall’altra, nondimeno, quale sia in concreto la religione cui spetta lafunzione di coagulare il consenso dei consociati e di cementarne i reciprocivincoli si può decidere solo sulla base del diritto ecclesiastico vigente in uncerto luogo e in un certo momento storico( 3 ). La tutela <strong>penale</strong> per tale viaaccordata ad una determinata religione piuttosto che a un’altra, fondandosiesclusivamente sulle scelte contenute nel diritto ecclesiastico di riferimento,ne disvela il preponderante ruolo di codeterminazione dell’oggetto di tutela;e, nel contempo, relega il diritto <strong>penale</strong> ad una funzione meramenteaccessoria rispetto alle statuizioni contenutevi. Così è infatti accaduto nellanostra esperienza, nella quale l’incondizionata supremazia riconosciuta daldiritto ecclesiastico alla religione cattolica non ha potuto che tradursi nelfarne l’oggetto privilegiato – rispetto a tutte le altre religioni – della tutela<strong>penale</strong> nella trama del codice del 1930.Proprio su questa seconda componente dell’oggetto di tutela delle ipotesicontenute negli artt. 402 ss. c.p. si sono via via( 4 ) abbattuti i colpi discure della Corte Costituzionale, la quale, precisamente a mezzo della sentenza168/2005, ne ha decretato la completa scomparsa. In effetti, due sonoi tòpoi argomentativi attraverso i quali la giurisprudenza della Corte ègiunta alla conclusione dell’illegittimità costituzionale della disciplina dequa, nella parte in cui, rifacendosi ai dettami del diritto ecclesiastico vigen-( 2 ) Il relativo concetto si trova efficacemente scolpito in P. Siracusano, I delitti inmateria di religione, cit., in particolare p. 59 ss..( 3 ) In argomento cfr. ancòra P. Siracusano, op. ult. cit., p. 69 e 71.( 4 ) Ripercorrendo in senso logico, prima ancòra che cronologico, le decisioni dei giudicicostituzionali richiamate nel testo, vanno ricordate le sentenze 329/1997 e 327/2002, rispettivamentedichiarative della illegittimità costituzionale degli artt. 404 e 405 c.p., nellaparte in cui assoggetta(va)no i fatti ivi previsti ad un trattamento sanzionatorio più severo,in quanto commessi a danno della religione cattolica, rispetto a quello previsto dall’art.406 c.p., per l’ipotesi in cui gli stessi fatti venissero commessi a danno di un culto ammesso;nonché la pronuncia 508/2000, contenente la declaratoria di illegittimità tout court dell’art.402 c.p., che contemplava il vilipendio della religione dello Stato.Per una considerazione approfondita, nonché preveggente, degli orizzonti delineatisi inmateria già a partire dalla decisione 329/1997 cfr. T. Padovani, La travagliata rinascita deidelitti in materia di religione, in Studium Iuris, 1998, in particolare p. 922.

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