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Alle origini del mito letterario di Maria Stuarda in Italia

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132<br />

<strong>in</strong> Roma, e quasi tutte le mutationi de Papi raffigurano. Conciosiache altri<br />

hoggi à tutti <strong>di</strong> potenza e <strong>di</strong>gnità superiori, e (come essi si reputano) à gli<br />

Dei uguali, saranno domani cosi caduti al basso che volentieri si<br />

contentarebbono <strong>di</strong> sedere nell’ultimo scaglione: altri nelle miserie e<br />

sor<strong>di</strong>dezze <strong>in</strong>volti, <strong>di</strong>verranno domani così illustri, et ad ogn’uno<br />

sovraem<strong>in</strong>enti, che da i pr<strong>in</strong>cipali citta<strong>di</strong>ni siano quasi adorati. E cio<br />

avviene per esser Roma quasi propria stanza de i scherzi <strong>di</strong> fortuna: dove<br />

molti sotto l’altrui felicità conseguono, quantunque <strong>di</strong> virtù ignu<strong>di</strong>, le<br />

prem<strong>in</strong>enze e gli honori alla virtù propriamente deputati. Ma nessuna<br />

cosa per la buona sorte ò virtù altrui acquiestata, può lungamente durare;<br />

se non tanto quanto da quell’estr<strong>in</strong>seco appoggio sia sostenuta e<br />

conservata 325 .<br />

(La vertù <strong>del</strong> prencipe mantiene lungamente i Stati)<br />

Invero ogn’uno volentieri sopporta il dom<strong>in</strong>io <strong>di</strong> un Pr<strong>in</strong>cipe saggio,<br />

giusto, e moderato: poiché i migliori sagliono <strong>in</strong> alto, & i peggiori<br />

rimangono à basso. Onde chi vuole comandare altrui, et havere sopra gli<br />

altri prem<strong>in</strong>enza; deve co’l mezzo <strong>del</strong>le virtù farsi all’imperio strada:<br />

poiché la virtù <strong>del</strong> Prencipe viè più d’ogni altra cosa rende lo Stato<br />

durabile e tranquillo: e quasi tutti i <strong>di</strong>sconci, travagli, e scelerag<strong>in</strong>i,<br />

occorrono 0074ra gli huom<strong>in</strong>i per gli errori ò poco giu<strong>di</strong>cio de cattivi<br />

m<strong>in</strong>istri, e per trascuragg<strong>in</strong>e de i Prencipi 326 .<br />

(L’avaritia, l’ignoranza, e la negligenza, fonti pr<strong>in</strong>cipali <strong>del</strong>le miserie<br />

humane)<br />

Se i Re et i prencipi à i governi de’ popoli e <strong>del</strong>le nationi deputati, e che<br />

isforzano à stare ne i term<strong>in</strong>i <strong>del</strong>l’equità e <strong>del</strong>la ragione le città à lor<br />

soggette; comportassero d’havere seco ne i pubblici palagi la giustitia per<br />

compagna, e non per serva; né più tosto la volessero nelle case de<br />

particolari sban<strong>di</strong>re e relegare: tu non vedresti l’avaritia, e la cupi<strong>di</strong>gia <strong>del</strong><br />

dom<strong>in</strong>are, cotante calamità à gli huom<strong>in</strong>i, à quante sottogiacciono <strong>in</strong> tutto<br />

il corso <strong>del</strong>la vita loro, apportare. Conciosiachè gran parte <strong>del</strong>le humane<br />

miserie, proviene ò dall’avaritia, ò dall’ignoranza, ò dalla trascurata<br />

negligenza <strong>di</strong> chi comanda e signoreggia. Quest’opposizione patiscono<br />

non solo i Tiranni, ma molti <strong>di</strong> quegli ancora, che fanno professione <strong>di</strong><br />

giusti e legitimi signori: li quali quantunque sopravanzano gli altri<br />

d’auttorità e <strong>di</strong> potenza; non <strong>di</strong> meno, per la debolezza <strong>del</strong>l’<strong>in</strong>gegno, e<br />

l’<strong>in</strong>esperienza <strong>del</strong> mondo potrebbono alla <strong>in</strong>fima plebe pareggiarsi.<br />

Avengache chi oserà chiamarsi huomo da bene; se col’ sangue etiando de<br />

colpevoli, con l’afflittioni, con le rap<strong>in</strong>e, con le prigionie, con gli <strong>in</strong>cen<strong>di</strong><br />

sforzerassi egli solo <strong>di</strong> comandare à altri: quantunque ciò, per l’auttorità<br />

che ritiene, legitimamente possa fare? Nè più tosto, quando ei non possa<br />

chetamente regnare, ceda <strong>del</strong>le giuste sue ragioni; non che per<br />

l’<strong>in</strong>gor<strong>di</strong>gia <strong>del</strong> dom<strong>in</strong>are cerchi <strong>di</strong> opprimere gli <strong>in</strong>nocenti?<br />

Conciosiache il sofferire <strong>di</strong> vedere strasc<strong>in</strong>are <strong>in</strong> durissima servitù i non<br />

colpavoli, separando i mariti dalle mogli, & i figliuoli da i spasri:<br />

quantunque né habbiano alcuna scelerag<strong>in</strong>e commessa, né siano stati<br />

partecipi <strong>di</strong> imprendere la guerra, né etiando volendo la potessero<br />

impe<strong>di</strong>re: non è egli cru<strong>del</strong>e e detestanda tirannide chiarissimo<br />

argomento? Poiché l’armi fuori de i conf<strong>in</strong>i per semplice <strong>di</strong>fesa allargate,<br />

quantunque talvolta necessarie, ponnosi a pena giuste & honeste riputare.<br />

325 Ivi, p. 346 v.<br />

326 Ivi, p. 352 r.

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