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Alle origini del mito letterario di Maria Stuarda in Italia

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che non potevano l’un l’altro essere come sud<strong>di</strong>ti giu<strong>di</strong>cati; oltre che era<br />

cosa <strong>di</strong> pessimo essempio, il non far <strong>di</strong>fferenza dal Re alle persone altrui<br />

soggette» 617 .<br />

L’ambasciatore spiegò che non si dovesse credere che con la morte <strong>del</strong>la<br />

<strong>Stuarda</strong> si sarebbe liberata l’Inghilterra dalle armi dei cattolici, perché questi,<br />

persa con lei la speranza che li sosteneva, messi alle strette, si sarebbero<br />

piuttosto posti a «maggiore rischio». Anzi, la <strong>Stuarda</strong> era, secondo Bellièvre,<br />

uno «scudo contra i colpi <strong>di</strong> coloro che o<strong>di</strong>avano la Re<strong>in</strong>a Isabella», e «serviva<br />

per dardo o per pietra per ispaventar i loro avversari». Privandosi qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong> tale<br />

<strong>di</strong>fesa, Elisabetta si sarebbe sottoposta a un rischio maggiore e sarebbe poi<br />

stata tacciata «d’<strong>in</strong>giustizia, <strong>di</strong> cru<strong>del</strong>tà e <strong>di</strong> perfi<strong>di</strong>a» 618 . Inoltre, il gesto<br />

avrebbe armato parenti e amici che avrebbero agevolmente trovato aiuto presso<br />

tutti i re e i pr<strong>in</strong>cipi cristiani che avrebbero sentito come affronto personale una<br />

«cotal’<strong>in</strong>giuria» 619 .<br />

L’esecuzione, qu<strong>in</strong><strong>di</strong>, sarebbe stata un’offesa per tutta la cristianità e<br />

avrebbe m<strong>in</strong>ato l’<strong>in</strong>violabilità <strong>del</strong>la monarchia, stabilita da una legge <strong>di</strong>v<strong>in</strong>a e<br />

non terrena, su cui nessuno aveva potere. L’ambasciatore (e con lui Campana)<br />

svela che i veri colpevoli <strong>di</strong> questo negozio sono i Consiglieri, che avevano<br />

come solo scopo il proprio <strong>in</strong>teresse e non quello pubblico, <strong>del</strong> regno o <strong>del</strong>la<br />

reg<strong>in</strong>a. A lei spettava dunque considerare bene la portata <strong>di</strong> un’azione così<br />

cruciale e perdonare, piuttosto, le offese ricevute, essendo la misericor<strong>di</strong>a la<br />

virtù che più rende simili a Dio.<br />

In effetti, commossa dalle parole <strong>del</strong>l’ambasciatore, la reg<strong>in</strong>a<br />

«soprasedette nell’essecution <strong>del</strong>la sentenza», approvata il 4 <strong>di</strong>cembre, che fu<br />

però poi eseguita il 18 febbraio 1587 620 .<br />

Le ultime ore <strong>di</strong> vita <strong>del</strong>la <strong>Stuarda</strong> sono trattate <strong>in</strong> maniera analoga alla<br />

narrazione <strong>di</strong> D<strong>in</strong>i, che <strong>in</strong>izia per altro il suo racconto proprio con la congiura<br />

<strong>di</strong> Bab<strong>in</strong>gton. Non credo però che questo testo possa essere stato la fonte <strong>del</strong>le<br />

Historie, anche perché, al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>le coor<strong>di</strong>nate essenziali sulla esecuzione, i<br />

due autori <strong>in</strong>sistono poi su eventi <strong>di</strong>fferenti: l’arr<strong>in</strong>ga <strong>di</strong> Bellièvre è ad esempio<br />

assente nel racconto <strong>di</strong> D<strong>in</strong>i, più breve sugli eventi precedenti alla esecuzione,<br />

617 Ivi, p. 268.<br />

618 Ivi, p. 269.<br />

619 Ivi, pp. 269-270.<br />

620 Si ricor<strong>di</strong> sempre che si tratta <strong>del</strong>l’8 febbraio, secondo il calendario Gregoriano.<br />

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