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Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozonoIntroduzioneIn tutta Europa – e in particolare nel bacino Mediterraneo– si assiste all’aumento progressivo dellaconcentrazione di ozono (O 3) nella troposfera [1]:ciò significa che «l’aria pulita» di oggi (e di domani)differisce da quella di alcuni decenni fa, con gravi conseguenzeper la salute umana e non solo. Questo inquinanteè in grado di alterare la composizione chimicae il clima di tale parte dell’atmosfera; pertanto, esisteun interesse crescente sulle conoscenze della suadistribuzione e sull’impatto ambientale che esso determinasia sugli organismi viventi che sui manufatti.Sebbene le aree urbane siano le fonti principali deiprecursori (ossidi di azoto ed idrocarburi), a causa diben noti fenomeni di trasporto, la presenza di livelli significatividi O 3si osserva anche nelle zone rurali piùdistanti. È, quindi, evidente come sia impellente la necessitàdi formulare un tracciato dettagliato dei livellidel contaminante nelle zone considerate più vulnerabili.Gli studi inerenti la distribuzione di O 3sul territorioitaliano sono un campo di ricerca relativamentegiovane: in questo Paese, le misure sono affidate principalmentea strumenti automatici che si basano sulprincipio di assorbimento dei raggi ultravioletti. Unadecina di anni fa erano in funzione circa 50 analizzatorisul nostro territorio; la loro localizzazione era – purtroppo– irregolare e grandi zone geografiche, in particolarenell’Italia del Sud, risultavano non coperte. Atitolo di esempio, in Toscana (22997 km 2 , circa 3,5x10 6 abitanti, 287 comuni), gli analizzatori operanoquotidianamente solo in 20 comuni, coprendo solo il40% degli abitanti e il 7% dei comuni. Inoltre, solo unapiccola parte di queste aree è monitorata da lungotempo e le informazioni fornite sono comunque frammentariee non raccolte in archivi storici.In Italia, la comparsa di sintomi indotti da O 3sullepiante è stata segnalata per la prima volta in Toscanaall’inizio degli anni ‘80 [2], ma soltanto molto più tardisono stati dimostrati gli effetti nocivi di questo inquinantesulla produttività delle piante coltivate.Danni visibili sono stati osservati su foglie di pescoin zone rurali del centro Italia, nonché su varie colture,quali fagiolo, zucchino, vite, peperone, ravanello,soia, spinacio e pomodoro. Quadri sintomatici attribuibiliall’O 3sono stati riscontrati anche sulla vegetazionenaturale: Robinia pseudoacacia, Ailanthus altissimae pioppo [3].Le zone rurali e forestali dell’Italia sono esposte aconcentrazioni di O 3che eccedono di gran lunga i livellicritici stabiliti. A maggior ragione, ciò si verificadurante i periodi estivi particolarmente caldi, comenel 2003 quando l’Italia è stata investita da una vera epropria «ondata di calore». La figura 1 mostral’AOT40 (esposizione accumulata sopra la soglia di40 ppb) calcolata per nove stazioni di monitoraggiotoscane (due per ciascuna delle province di Arezzo,Firenze e Pistoia e una per ciascuna di quelle di Lucca,Pisa e Prato) dall’1 al 15 agosto 2003 rispetto allaserie storica (1999-2002 + 2004): nell’ultimo giorno ladifferenza tra i due valori raggiungeva i 2,5 ppm h [4].Il monitoraggio biologico può essere definito comela misura delle risposte degli organismi viventi aicambiamenti dell’ambiente che li circonda. Dal momentoche, in generale, le piante sono più sensibilialle principali sostanze inquinanti dell’aria (comel’O 3) rispetto agli animali (e, quindi, anche all’uomo),questa metodologia può essere applicata osservandoe analizzando specie spontanee o coltivate presentiin una data area di studio (cosiddetto biomonitoraggiopassivo) o condotta su soggetti selezionatiesposti deliberatamente in aria ambiente in condizionistandardizzate (biomonitoraggio attivo). Essa puòconsentire una copertura capillare del territorio, conragionevoli costi di gestione e senza vincoli per ilrifornimento elettrico, del quale invece necessitanole centraline automatiche. Il tutto con valenze educativee didattiche incomparabili!Inizialmente è stata adottata la metodologia sviluppatadagli scienziati olandesi [3] che per primi hannostabilito e formalizzato una rete di biomonitoraggiocon piante di tabacco all’interno del loro paese. Mediantequesto tipo di indagini, affiancate dall’elaborazionedei dati di alcune stazioni di analisi chimico-fisica,è stato accertato anche il trasporto a lunghissimadistanza (parecchie centinaia di chilometri) dell’O 3prodotto nella enorme area metropolitana tra WashingtonD.C. e New York City sino all’isola di Nantucket,nell’oceano Atlantico [5]. Tra gli altri numerosiesempi si possono citare quelli relativi alla Granl’autore1 Dipartimento di Coltivazione e Difesadelle Specie Legnose «GiovanniScaramuzzi» dell’Università di Pisa,Via del Borghetto 80 56124 Pisacristina.nali@agr.unipi.it*autore per corrispondenza131

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