Le imprese illustri del S.or Ieronimo Ruscelli.

250 D'IbABbLLA OUN£AfiA,
I Greci chiamauanoqu elio tal fuoco olume, Polideucis^che vuol dire dì
Polluce, & i Latini l'han chiamato Caftore 3c Polluce , i quali le iftoric, ó piùf
tolto le fauole antiche hanno detto effcre fiati due fratelli di Elcna Greca, che
inoreiìdojcbber gratia da Giouc,di ritornarci mondo feimcfi l'uno,& fci me
fi l'altro.Come leggiadramente duTel'Ariolto.
Ch'alternamente fi priuan del Sole,
Per trar l'uri l'altro de l'aere maligno
T marinari de' tempi nofìri dicono communcmente,chequelfuoco,o quel
lume fìa Santo Er m o, oun fuo meflfaggio, il quale venga ad annunciar la
tranquillità del mare doppo la tempcfta. Onde iene èfatto quel bellifsimo
detto,che quando alcuno comparisce in aiuto altrui doppo le quiftioni, o la
guerra, lì fuol dirc,che egli Ila fant'Ermo.
Sck i ve Plinio, che quando in mare doppo la tempefla appari fcevna
luce fola, fi piglia dai marinari per cattiuo augurio], &per fegno, chedebbia
ri.nouarfì,o feguitarla tempefta,ma che quando ne apparifeon due,fìafìcuro
fegno,& augurio di ferenità & falute . Mai nauiganti de' tempi noftri, affer-
mali tutti vniuerfalmente, chetantofeneaparifee vna fola, quanto due, fìa
fempre augii rio,& mcflaggicro certo di buona fperanza , & della tranquillità
dtlmaie.Laqual cofa sì come tutte l'altre, moftrò di faper molto bene il dilli
noAriorto, deferiuendo la gran fortuna o tempefta, che ebbero Aftolfo,
Mai-fifa, Grifone, Aquilante, & Sanfonetto,
Stero 7 q'tefto tranagliojn qfta ptna[mo Veduto fiammeggiar la bellaface,
J e quattro giorni e no atta pia t fcher S'ìngmocthiaro tutti i nauiganti,
£ riauria aauto il mar vitto ria piena t E dimandato il mar tranquillo , e pace
Tocn picche'lfuror tenejj'e fermo ,
Ma diede fpeme lor diaria ferena .
Con vmidi occhi e con voci tremanti ,
La tempesta crudel , che pertinace
la di'fiata luce di fan?E r m o , (ne Fu fi'* allora, non andò più manti
Che i prua su una eoa kina à por fi ve Maestro , e Trauerfia più no» mole/la
Che pia non v erari arborane amene. E tiranno del mar Libeichio retta.
Qy e s to fant'Ermo dicono efler flato vn Vefcouo di Sicilia, il quale
mentre ujffe fu huomo d'ottima vira, & poi in vecchiezza fi mifeà nauigare
a Coiftaotinopoli per veder le venerabilihime Chiefe fatte da Goftantino,&
la finta Croce di noi tro Signore , ritrouata da fanta Elena , & indi poi fé ne
andò in Ierufalem à vifìtare il fepolcro di Chrifto,& pofeia ritornando a cafà
per mare, & affalitida vna grandifiima tempefta, egli rirrouandofi vetchifli
mo,& infermo d'una gran febre, nel voler render l'anima à Dio, difle a i ma-
rinari, che fi difponefTcro di ripe rrar'il fuo corpo in Sicilia , promettendo Ioniche
farebbon fìcuri dal pericolo di quella grandifsimatempeftai'àt arriue
rebbonofani& falui,& continuamente poi promctteua d'cfler procurato-
re, & intercettore appretto l'infinita bontà di Dio, in rapprefentarli i deuoti
prieghi dc'fideli nauiganti ne'lor p ricoli. Et così morendo, dicono che poi
fopra l'antenna, o nella prua della naue apparue un lume, & la tempefla fi
quietò,&: nauigaronpoi fempre tranquillamente, teneudo per cofa certifsimajchc