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Hermann Hesse - Il Giuoco Delle Perle Di Vetro - Altrestorie.net

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alcune sale piene di manuali d'organo, di arpe, liuti e<br />

clavicembali, erano entrati in un deposito dove si conservavano strumenti per le scuole. Knecht vi aveva<br />

trovato un intero cassetto pieno di quei piccoli flauti,<br />

ne aveva provato uno e chiesto all'amico se lo poteva<br />

portar via. Con una risata Carlo l'aveva pregato di<br />

scegliersene uno, e ancora ridendo gli aveva fatto firmare una ricevuta, spiegandogli poi, con estrema<br />

precisione, la costruzione dello strumento, la tecnica e il<br />

modo di usarlo. Knecht si era preso il grazioso giocattolino e vi si era esercitato poiché dopo lo zufolo<br />

della sua infanzia non aveva più avuto occasione di<br />

suonare uno strumento a fiato, pur essendosi proposto<br />

più volte di riprendere quello studio. Oltre alle scale<br />

aveva suonato le vecchie melodie di un fascicolo edito<br />

da Ferromonte per i principianti, sicché dal giardino<br />

del Magister o dalla sua camera si era udito spesso il<br />

dolce suono del piccolo flauto. Era ancora ben lungi<br />

dall'essere un maestro, ma aveva imparato a suonare alcuni di quei corali e di quelle canzoni; li sapeva a<br />

memoria e di alcuni conosceva anche le parole. Così<br />

gliene venne in mente uno che si accordava bene al<br />

momento. Ne disse fra sé alcuni versi:<br />

Non più china la mia faccia,<br />

non più stanche son le braccia,<br />

sono lesto,<br />

sono allegro<br />

e mi godo il ciel sereno.<br />

Poi si portò lo strumento alle labbra e suonò la melodia, guardò le montagne limpide e lontane, udì<br />

espandersi la canzone soave nel suono del flauto e si<br />

sentì in pieno accordo col cielo e coi monti, col canto<br />

e col giorno. Era contento di stringere fra le dita quel<br />

legno liscio e rotondo e pensava che, oltre all'abito<br />

che aveva indosso, quel piccolo flauto era l'unica proprietà che si era permesso di portare con sé da<br />

Waldzell. Con gli anni molte cose si erano accumulate intorno a lui, cose che recavano più o meno<br />

l'impronta<br />

l<br />

del possesso personale, soprattutto appunti, quaderni<br />

e simili. Tutte queste cose le aveva abbandonate lasciando che il Villaggio dei Giocatori ne facesse l'uso<br />

che avrebbe creduto. Si era portato via però il flauto<br />

ed era molto contento di possederlo: era un compagno<br />

di viaggio, modesto e cortese.<br />

<strong>Il</strong> giorno seguente Knecht arrivò nella capitale e<br />

si presentò in casa Designori. Plinio gli corse incontro<br />

per le scale e lo abbracciò commosso.<br />

«Ti aspettavamo con ansia e stavamo in pensiero»<br />

esclamò. «Hai fatto, caro amico, un gran passo e speriamo che porti fortuna a tutti noi. Ma che ti abbiano<br />

lasciato partire! Non l'avrei mai creduto.»<br />

«Come vedi però sono qui» disse Knecht ridendo.<br />

«Ne parleremo all'occasione. Adesso vorrei salutare<br />

anzitutto il mio allievo e beninteso anche tua moglie<br />

e discutere con voi come si dovrà procedere. Non<br />

vedo l'ora d'incominciare.»<br />

Plinio chiamò una fantesca e le diede ordine di<br />

andar subito a chiamare suo figlio.<br />

«<strong>Il</strong> signorino?» fece lei evidentemente meravigliata, ma poi scappò via mentre il padrone di casa<br />

accompagnava l'amico nella sua camera e s'infervorava a<br />

riferirgli come avesse preparato e predisposto ogni cosa<br />

per il suo arrivo e per il soggiorno col giovane Tito.<br />

<strong>Di</strong>sse che si era potuto fare tutto secondo i desideri<br />

di Knecht, e anche la madre di Tito aveva compreso<br />

quei desideri e dopo qualche resistenza vi si era adattata. Possedevano una villetta in montagna chiamata<br />

Belpunt, situata in riva a un lago dove Knecht avrebbe<br />

dimorato nei primi tempi con l'alunno: avrebbero<br />

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