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Hermann Hesse - Il Giuoco Delle Perle Di Vetro - Altrestorie.net

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precedente, la storia di Dasa, figlio di principi, la sua vita di pastore, le sue nozze, la vendetta contro Nala, il<br />

rifugio presso il yoghino. Erano figure come si possono ammirare sulle pareti istoriate di un palazzo, dove si<br />

vedono stelle fiori, uccelli, scimmie e divinità, fra intrecci di fronde.<br />

E ciò che stava contemplando, quel suo risvegliarsi dal sogno del trono, della guerra e del carcere, quel<br />

soffermarsi presso la fonte, quella ciotola d'acqua della quale aveva appena versato qualche goccia, i pensieri<br />

che gli si affacciavano alla mente, tutto ciò non era forse della medesima sostanza, non era sogno, abbaglio<br />

maya? E ciò che ancora avrebbe vissuto in avvenire, veduto e toccato con mano, sino alla morte, era forse di<br />

natura diversa, di un'altra sostanza? <strong>Giuoco</strong> era, e apparenza, sogno e schiuma, nient'altro che maya, tutto il<br />

giuoco scintillante della vita, bello e orrendo, delizioso e disperato, con le gioie ardenti, coi roventi dolori.<br />

Dasa era lì ancora stordito e paralizzato. La ciotola gli tremò di nuovo tra le mani, l'acqua traboccò, gli<br />

cadde fresca sui piedi e si perdette nel terreno. Che cosa doveva fare? Riempire di nuovo la ciotola,<br />

riportarla al yoghino, farsi deridere per tutto ciò che aveva sofferto nel sogno? Non era molto allettante.<br />

Vuotò quindi la ciotola e la buttò nell'erba. Sedette poi per terra e si mise a riflettere seriamente. Era stucco e<br />

arcistucco di quei sogni, di quel diabolico intreccio di esperienze, di gioie e pene che stringono il cuore,<br />

fermano il sangue e poi non sono altro che maya e presa in giro. Era stufo di tutto, non desiderava più né la<br />

donna né il figlio, non voleva il trono, la vittoria, la vendetta, né felicità e intelligenza, non potenza, non<br />

virtù. Non si augurava altro che pace, altro che la fine, non desiderava se non di fermare e spegnere la ruota<br />

che gira perenne, la infinita sequenza delle visioni.<br />

Desiderava mettersi in pace e spegnersi come aveva desiderato nel sogno, quando in quell'ultima battaglia<br />

si era immerso nel folto dei nemici, vibrando e ricevendo colpi e ferite, finché era crollato. E poi? Che cosa<br />

viene? Poi viene la pausa di uno svenimento, di un sonno o di una morte. E subito dopo ci si risveglia, si<br />

lasciano entrare nel cuore i fiumi della vita e negli occhi il torrente pauroso, bello e orribile delle immagini,<br />

all'infinito, senza scampo fino al prossimo svenimento, fino alla morte successiva. E questa è forse una<br />

pausa, una brevissima sosta, un attimo di respiro, ma poi si continua e si ridiventa una delle mille forme<br />

nella selvaggia, ebbra e disperata danza della vita. Ahimè, non c'è modo di spegnersi, non si arriva alla fine.<br />

L'inquietudine lo fece balzare di nuovo in piedi. Se non c'è riposo in questo maledetto girotondo, se il suo<br />

unico, ardente desiderio non poteva essere acco]to, tanto valeva riempire la ciotola e portarla a quel vecchio<br />

che gliel'aveva ordinato, benché a rigore non avesse nulla da ordinare. Era un servizio richiesto, era un<br />

incarico che si poteva anche eseguire, era meglio che starsene seduto a escogitare maniere di uccidersi; in<br />

genere, obbedire e servire è più facile, è molto meglio, molto più proficuo e innocente che regnare e<br />

rispondere delle proprie azioni. Fin qui era arrivato. Bene dunque, Dasa, prendi la ciotola, riempila d'acqua<br />

per benino e recala al tuo signore !<br />

Quando giunse alla capanna, il maestro lo accolse con uno sguardo strano, leggermente interrogativo, tra<br />

pietoso e divertito, uno sguardo d'intesa, come un ragazzo può lanciarlo a un altro ragazzo più giovane che<br />

veda ritornare da un'avventura faticosa e un po' umiliante, da una prova di coraggio che gli sia stata imposta.<br />

Quel principe pastore, quel povero diavolo venuto da chissà dove, arrivava, sì, dalla fonte, era andato a<br />

prender acqua, era rimasto assente meno di un quarto d'ora, ma ritornava anche da una prigione, aveva<br />

perduto una donna, un figlio e un trono, aveva compiuto una vita umana e gettato un'occhiata alla ruota<br />

girante.<br />

Probabilmente quel giovane era già stato svegliato una volta o più volte e aveva respirato una boccata di<br />

realtà, altrimenti non sarebbe venuto e rimasto così a lungo. Ora però pareva veramente desto e maturo per<br />

iniziare il lungo viaggio. Ci sarebbe voluto qualche anno per insegnargli sia pure soltanto a tenersi ritto e a<br />

respirare.<br />

Soltanto con quell'occhiata che conteneva una sfumatura di benevola simpatia e un accenno al nuovo<br />

rapporto tra di loro, al rapporto fra maestro e discepolo, soltanto con quell'occhiata il yoghino sanzionò<br />

l'ammissione dell'allievo. Quell'occhiata scacciò i pensieri inutili dalla mente di Dasa e lo accolse nel<br />

servizio e nella disciplina. Della sua vita non c'è altro da narrare; il resto si svolse al di là delle immagini e<br />

della storia. Da quel bosco non è uscito più.<br />

FINE<br />

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