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uno sguardo d'insieme - CSV Marche

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Seconda parte Volontariato e… motivazioni<br />

La signora Irma sembra avere accettato, inizialmente, soprattutto perché consapevole della necessità,<br />

per tante persone, di questo genere di servizio, e perché naturalmente sensibile, dopo tanti anni di<br />

lavoro, a questi problemi.<br />

112<br />

“Mah, perché è logico, facendo quarant’anni di ospedale, se ne vedono di tutti i colori, si<br />

vedono gli anziani, la necessità che c’è, e poi dopo ti invoglia, ti invoglia perché pensi di fare<br />

una bella cosa…” (intervista 11, Irma, 62 anni)<br />

Il volontariato la gratifica, e risponde anche ad un bisogno di stare in attività e di mantenere il<br />

contatto con altre persone.<br />

“Perché mi piace tantissimo, e mi gratifica tanto, e se non facessi questo non so cosa farei tutto<br />

il giorno (sospirando)… (…) Non sono a contatto di tante persone, sono sincera, perché andata<br />

in pensione ti sei isolata completamente, in effetti ho cercato qui, bè ho cercato… veramente mi<br />

è capitato anche tramite il dottore, altrimenti neanche lo sapevo, ma proprio perché ho bisogno<br />

di stare con la gente… io non le saprei rispondere diversamente.” (intervista 11, Irma, 62 anni)<br />

Anche la fede religiosa fa parte delle motivazioni, perché è un po’ un modo per sentirsi più vicini agli<br />

altri e alle loro sofferenze…<br />

“Ma io penso molte persone lo fanno per religione… cioè io non sono una cattolica proprio di<br />

quelle bigotte, però ci credo e lo faccio… noi abbiamo per esempio delle riunioni di Padre Pio, e<br />

ci riuniamo ogni lunedì del mese e questo è un fatto di religione, perciò mi sento di farlo ancora<br />

più volentieri, il volontariato, proprio perché capisco che la religione conta molto (…)le ripeto,<br />

non è che sono una bigotta, una che tutte le mattine si trova in chiesa, no. Però… mi ha spinto<br />

molto, adesso ho il tempo, magari vado alla messa, vado ripeto a questa riunione di Padre Pio,<br />

cioè mi spinge… senti di più le sofferenze delle persone, anche il prete che lo dice all’altare,<br />

preghiamo per quello, preghiamo per quell’altro, quello sta male, quell’altro sta in ospedale, ha<br />

capito… ti spinge, molto, almeno a me così...” (intervista 11, Irma, 62 anni)<br />

Raffaella, invece, ci racconta di un’esperienza iniziata principalmente per caso, ovvero perché sua<br />

sorella aveva mandato il curriculum per frequentare il corso di formazione e perché aveva molto<br />

tempo libero, e, inoltre, perché l’attività le sembrava “carina”.<br />

A distanza di due anni da quella decisione, è dentro l’associazione “fino al collo”, e quando non può<br />

andare a fare attività con gli anziani “proprio (le) mancano fisicamente”.<br />

Ancora una volta è l’impegno volontario che genera le motivazioni necessarie per continuare ad<br />

investire il proprio tempo e le proprie energie nel volontariato. Ma, naturalmente, il racconto più<br />

efficace è quello eseguito dall’intervistata.<br />

“Io te l’ho detto, io… ho capito il senso di quello che stavo facendo la prima volta che sono<br />

andata in corsia, perché comunque vabbè… vedi i bambini che stanno male, e che hanno voglia<br />

di giocare, e che… è una cosa che comunque è impossibile descrivere… a me proprio m’ha<br />

fatto… io sono tornata a casa… e ho pianto sempre, da lì a casa… però lì ho capito davvero il<br />

vero senso di ciò che stavo facendo, prima lo facevo quando ho iniziato solamente perché avevo<br />

tempo, e non mi ero neanche resa conto di quello a cui andavo incontro. Ho fatto la prima<br />

esperienza in corsia, poi ho fatto l’esperienza con gli anziani, e ti giuro che il giovedì se ho<br />

qualche inghippo che non posso andare dagli anziani sto male, perché proprio mi mancano<br />

fisicamente, e poi ultimamente adesso sono andata in ospedale, al reparto di oncologia… e lì<br />

proprio mi si è aperto il mondo, perché lì proprio capisci l’importanza di quello che fai. Di<br />

quanto può dire a un bambino che sta all’ospedale giocare due ore, e poi comunque anche per i<br />

genitori fare una risata (…): il bambino gioca e il genitore un attimo si distende…” (intervista<br />

24, Raffaella, 36 anni)

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