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uno sguardo d'insieme - CSV Marche

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Centro di Servizio per il Volontariato – Associazione Volontariato <strong>Marche</strong><br />

Le nostre due voci fanno sentire parti differenti: noi quella di chi lavora nel sociale mentre le<br />

associazioni di chi ha il bisogno sociale, le due voci assieme avrebbero più forza”<br />

Affermazioni tra loro incerte, che sottolineano il bisogno di incontro non estemporaneo, ma che allo<br />

stesso tempo ribadiscono la grande confusione che sussiste nei rapporti tra cooperazione e<br />

volontariato. Richieste di percorsi, chiarezza, opportunità, ancora oggi tutte da costruire.<br />

5.10 - Conclusioni<br />

Restano sospese a questo punto alcune domande. Soggetti votati alla gestione del disagio sociale, che<br />

nella loro opera quotidiana producono pratiche orientate alla crescita del benessere sociale e che per<br />

questo dovrebbero essere in grado di gestire con una certa facilità relazioni difficili, come mai<br />

evitano di fare i conti con il disagio dell’incontro tra loro? Forse perché è proprio l’estrema vicinanza<br />

che produce frizione? Forse perché è proprio la vicinanza che determina maggiori disagi nel gestire le<br />

difficoltà? Forse perché l’incontro potrebbe far porre domande del tipo: “Come posso tollerare che tu,<br />

che dichiari di produrre benessere, crei disagio a me?”. “Tu metti in discussione la mia stessa<br />

esistenza dicendo che ti provoco disagio, perché io sono buono per natura”. “Se tu affermi che io ti<br />

provoco disagio, essendo io un soggetto che crea benessere, sicuramente sei in malafede!”. “Io lavoro<br />

per gli altri, se nel farlo provoco disagio non mi riguarda perché il fine è nobile”. E potremmo<br />

continuare quasi senza fine.<br />

Volontariato e Cooperazione considerano le differenze sociali quali elementi di ricchezza, perché<br />

consapevoli che le differenze sono il luogo da cui si può partire per abbozzare domande che,<br />

mostrando limiti ed opportunità, permettono evoluzioni sociali. Ma mentre sono sempre molto attente<br />

nell’accogliere il disagio presente nell’ambiente, fanno molto fatica a fare lo stesso al loro interno e/o<br />

tra organizzazioni. Appare che queste organizzazioni considerino legittimo il disagio quando è<br />

generato dal contesto sociale, che per antonomasia è cattivo, mentre non vogliono riconoscere che il<br />

loro stesso statuto di “organizzazione” produce conflitto e conseguentemente disagio. Questo in<br />

quanto l’organizzazione (di qualsiasi tipo, grandezza o articolazione) è una struttura tecnica che serve<br />

per raggiungere dei fini, nel caso delle organizzazioni di solidarietà, produrre “benessere”. Fine che<br />

parrebbe coincidere con quello dei singoli, almeno per quelle che offrono solidarietà, ma questo non è<br />

vero perché per raggiungere anche un fine solidale (esempio gestire un servizio diurno)<br />

l’organizzazione dovrà funzionare e per funzionare dovrà fare in maniera che tutti rispettino<br />

un’organizzazione (nel servizio, nella cooperativa e nell’associazione) fatta di vincoli che, per quanto<br />

decisi collegialmente, obbligheranno a fare i conti con orari, impegni, incarichi, responsabilità,<br />

gerarchie, ruoli, valutazioni, ecc. Tutto questo provocherà comunque disagio, in quanto i bisogni<br />

organizzativi non coincideranno con quelli del singolo e neppure con quelli dell’utente o della<br />

famiglia dello stesso.<br />

Spesso questa realtà sembra difficile da accettare, soprattutto per organizzazioni che si occupano di<br />

solidarietà, ma proprio chi si occupa del disagio altrui dovrebbe saper accogliere il proprio disagio ed<br />

essere in grado di osservare e trattare quello che produce. Riconoscere la propria fragilità, che in<br />

questo caso significa accettare di essere partecipi alla produzione di disagio, così come lo sono altri<br />

attori sociali, è il primo passo perché si sia capaci di trattarlo efficacemente. Solo in questo modo chi<br />

si erige a tutela delle fragilità altrui potrà vedere riconosciuto socialmente questo ruolo e potrà<br />

permettersi di insegnare a farlo agli altri.<br />

Non solo, l’azione dei soggetti del terzo settore per sua natura deve essere orientata all’efficienza ed<br />

all’efficacia, ma tutto questo deve essere poi sottoposto a domande di senso capaci di far riflettere<br />

sul loro operato. Perché la differenza tra chi agisce sul mercato e chi agisce nel settore sociale non<br />

riguarda solo l’oggetto sociale, perché tutte le organizzazioni agiscono per raggiungere l’obiettivo<br />

che si sono date, ma soprattutto riguarda la capacità di raggiungere gli obiettivi dati tenendo conto dei<br />

bisogni (e degli interessi) di tutti gli attori sociali, interni ed esterni all’organizzazione. Il volontariato<br />

e la cooperazione sociale saranno a pieno titolo soggetti del welfare in relazione alla loro capacità di<br />

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