Porto Franco. I documenti del progetto, 1998-2001 - Regione Toscana
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Campus sulle culture <strong>del</strong>la parola e <strong>del</strong>la scrittura<br />
Il campus dal titolo “Campus <strong>del</strong>la parola e <strong>del</strong>la scrittura”, itinerante, si è svolto tra il 26 luglio e il 9 agosto<br />
attraversando la <strong>Toscana</strong> per poi confluire nell’incontro conclusivo tra tutti i campus sull’Amiata (10-13<br />
agosto).<br />
Gli obiettivi <strong>del</strong> campus: 1. Sviluppare pratiche di incontro e contaminazione sul terreno <strong>del</strong>la<br />
comunicazione interpersonale; 2. Sperimentare la produzione di parole e concetti come “luoghi comuni”<br />
<strong>del</strong>la comunicazione interculturale; 3. Elaborare prodotti finali utilizzabili dal mondo <strong>del</strong>la scuola e dai<br />
“centri interculturali”.<br />
TRACCE PER UN DIZIONARIO DEI LUOGHI COMUNI A PARTIRE DALLE PAROLE<br />
PORTATE DAI MONDI<br />
Abbiamo iniziato a produrre in compagnia un “Dizionario dei luoghi comuni a partire dalle parole portate dai<br />
mondi”.<br />
Compagnia è un campus che cammina.<br />
Sappiamo e diciamo che un luogo comune è uno stereotipo <strong>del</strong>la mente, <strong>del</strong>la lingua e <strong>del</strong> discorso. Usiamo<br />
un luogo comune senza pensarci, ritrovandolo poi specchiato e medesimo negli altri.<br />
Su questo significato e su questo uso parassitico <strong>del</strong> “luogo comune” abbiamo zappato in un campus<br />
comune, provenendo dal Mali e dalla Corea, dalla <strong>Toscana</strong> e dalla Colombia, dall’Irlanda e dall’Algeria. Ci<br />
interessava cavare dei nuovi sensi condivisibili. Per cui il primo luogo comune è stato il nostro incontrarci<br />
venendo da ovunque, il luogo imprevedibile dove si sono raccolti gli sconosciuti per avviarsi a fare <strong>del</strong>la<br />
strada insieme, il luogo che abbiamo costruito mediante il colloquio <strong>del</strong>le parole, come fanno le genti<br />
africane sotto l’Albero <strong>del</strong>la Parola; il luogo che ci resterà dentro, indimenticabile e condiviso con chi sarà<br />
dall’altra parte <strong>del</strong>la terra. Sapremo, così, quanto possa essere vero che si esiste solo se qualcuno ci pensa, e<br />
non se mi penso da me, come diceva un famoso filosofo.<br />
Un dizionario è un libro fatto di parole che vengono spiegate con altre parole, contenute anch’esse nel<br />
dizionario, che le dice tutte, in modo da poter essere sancite come comuni a tutti i parlanti “nativi” di una<br />
lingua, ma anche a tutti quelli che pur se non sono nativi attraverso il dizionario di quella lingua possono<br />
farsi un’idea più precisa <strong>del</strong> significato di una parola in quella lingua: più precisa di quella che può fornire un<br />
dizionario bilingue, <strong>del</strong>le equivalenze traduttive.<br />
Che tipo di dizionario abbiamo immaginato di produrre insieme?<br />
Un dizionario viene normalmente confezionato mediante un lavoro di anni che un singolo o un gruppo di<br />
lavoro scientifico fa seduto nelle biblioteche: noi, invece, abbiamo iniziato a scrivere un dizionario mediante<br />
un colloquio itinerante in <strong>Toscana</strong> e attraverso l’incontro/confronto di mondi e di lingue diversi e radunati.<br />
Un dizionario raccoglie le parole esistenti e ne rispecchia i significati; noi abbiamo trattato in compagnia<br />
parole e significati messi a nuovo.<br />
Un dizionario stabilisce gli standard linguistici e semantici ragionevoli di uno stato di mondo in una lingua;<br />
noi, attraverso il colloquio <strong>del</strong>le lingue e la traduzione continua dei portati dei mondi dai quali veniamo in<br />
parole rese disponibili ad essere comunicabili – messe in comune – agli altri, abbiamo iniziato a produrre<br />
<strong>del</strong>le pronunce nuove di parole anche antiche. E attraverso di loro, forse, riusciremo a portare alla parola<br />
qualcosa <strong>del</strong> mondo futuro verso il quale ci muoviamo insieme: un mondo di mondi: un colloquio dei diversi<br />
che trovano luoghi in comune. Su questa strada sembrano essersi già avviati caraibici e africani, mentre noi<br />
europei il futuro cerchiamo solo di dominarlo occupandolo, come se fosse un territorio da colonizzare, tanto<br />
siamo abituati a intendere gli spazi e i tempi come aree, terreni, riquadri, piazze, mercati, occasioni e forme<br />
da colonizzare, ancora e sempre.<br />
Quale mappa e quale rotta abbiamo immaginato di seguire?<br />
Stiamo parlando <strong>del</strong> metodo, forse?<br />
Sì, perché no? Un metodo, però, che non è una carta e una rotta prestabilita, fissata e sicura. Piuttosto, un<br />
metodo che si fa: mentre si percorre il cammino, come dice il poeta Antonio Machado; voltandosi a guardare<br />
la strada percorsa, come dice lo storico <strong>del</strong>le religioni Georges Dumézil; facendo una strada con gli altri e<br />
affinché altri subito dopo possano e vogliano pensare di percorrerla, avendola vista, essendogli stata fatta<br />
conoscere e messa in comune.<br />
Abbiamo iniziato a produrre il nostro “dizionario” a partire da una trentina di parole. Ogni ospite ha portato<br />
la sua parola. Ha portato una parola propria – e non la parola portata dal portaparola, o portavoce, che porta<br />
la parola di un altro che ne è, <strong>del</strong>la parola e <strong>del</strong> suo portatore, il padrone. Una parola scelta tra le proprie, e<br />
cioè tra quelle <strong>del</strong>la propria storia personale e <strong>del</strong> mondo da cui si viene e che sia sentita come un valore da<br />
rendere comune in un incontro <strong>del</strong>le parole dei mondi.<br />
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