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Porto Franco. I documenti del progetto, 1998-2001 - Regione Toscana

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Una parola propria è quella con la quale gli amanti <strong>del</strong>la parola – rivendicando a tutti, evidentemente, il<br />

destino di poter essere filologi – educano se stessi ad interrogare il mondo, ad ascoltarlo e a rispondergli.<br />

Una parola che una volta scelta, ognuno coltiverà per portarla, ricca di senso e pronta al consiglio plurale. La<br />

parola diventerà ricca di senso e pronta se il portaparola porterà anche una proposta di intendimento –<br />

propria, sorta cioè dalla propria coltivazione – e di comunicabilità <strong>del</strong>la sua parola. Non una definizione –<br />

anche se originale, creativa, inaudita, rivoluzionaria ecc. – ma una specie di tappeto di parole dove gli altri,<br />

chiunque, si possano sedere tutti e trovarsi ben disposti a consigliarsi su quella parola.<br />

Quali significati abbiamo cercato per le parole portate e messe in comune?<br />

Non abbiamo cercato le definizioni <strong>del</strong>le essenze, tipiche <strong>del</strong>la ragione metafisica europea. Non abbiamo<br />

cercato le definizioni <strong>del</strong>le funzioni: a) a che serve una cosa-parola? e/o b) come agisce, quale è il suo<br />

schema di funzionamento? Entrambi questi significati sono generati da provocazioni <strong>del</strong>la ragione<br />

strumentale occidentale, che ha travolto e ingoiato la metafisica e ha instaurato il dominio <strong>del</strong> valore di<br />

scambio e <strong>del</strong>l’interesse/profitto <strong>del</strong> capitale come consistenza fondamentale e finale degli umani, <strong>del</strong>la<br />

natura e <strong>del</strong>le merci.<br />

Abbiamo cercato di scrivere in compagnia e in colloquio itineranti ciò che il nostro consiglio ha trovato di<br />

valoroso e comune tra le parole dei mondi affinché essi possano convivere in un modo che non sia lo<br />

sfruttamento, l’ineguaglianza, il dominio <strong>del</strong>l’uno sull’altro, la discriminazione di genere, il razzismo e la<br />

guerra, che fanno <strong>del</strong> nostro un mondo dei mondi in cui i mondi soffrono, soffocano e vengono schiacciati<br />

dalla bolla <strong>del</strong> pensiero-unico, per il quale, invece il mondo così governato, è il migliore dei mondi possibili.<br />

Qualcuno deve inventare nuove strade e nuovi luoghi comuni affinché ciò sia possibile. Il nostro campus<br />

itinerante ha voluto partecipare a questa invenzione, facendo la sua strada e rendendola comunicabile,<br />

viabile, utilizzabile. Mediante un dizionario, da costruire per tracce.<br />

Lanfranco Binni, Pape Mbaye Diaw, Armando Gnisci<br />

coordinatori <strong>del</strong> campus sulle culture <strong>del</strong>la parola e <strong>del</strong>la scrittura<br />

Pubblichiamo due parole “lavorate nel campus”. Nell’edizione di “Tracce. Parole di PORTO FRANCO”, in<br />

preparazione, tutte le parole “portate” dalle e dai partecipanti al campus saranno corredate di ”sentieri di<br />

lettura”; ne costituisce un esempio la voce “decolonizzazione” portata da Armando Gnisci. Della seconda<br />

parola qui pubblicata riproduciamo soltanto la traccia.<br />

Decolonizzazione<br />

La parola decolonizzazione esprime sinteticamente la mia “poetica”. Una poetica è l’intreccio di lavoro e<br />

destino, di senso e cammino, con il quale una persona trasforma continuamente e imprevedibilmente la<br />

propria esistenza. La persona che arriva a praticare una poetica intende sempre proporla agli altri e cerca di<br />

imporla alla realtà.<br />

Il mondo a cui oggi apparteniamo è quello che tutti chiamano: <strong>del</strong>la globalizzazione. Essa ha la forma di una<br />

frazione: sopra vi è il mondonord che domina, sfrutta, esclude ed opprime i mondisud, sottoposti. Questo<br />

stato è il risultato <strong>del</strong>la colonizzazione <strong>del</strong> pianeta da parte <strong>del</strong>le nazioni imperiali <strong>del</strong>l’Europa occidentale e<br />

<strong>del</strong>la Russia a partire dal XVI secolo d. C. Si tratta di uno stato di mondo propriamente post-coloniale, e<br />

cioè: che proviene ed è individuato dalla colonizzazione. Possiamo dire che essa si sia stabilizzata e<br />

compiuta solo ora. Ora che possiamo riassumerla in pochissime cifre: i paesi ricchi (il mondonord)<br />

rappresentano il 12 per cento <strong>del</strong>la popolazione umana, ma detengono l’86 per cento <strong>del</strong>la ricchezza e<br />

praticano l’88 per cento dei consumi mondiali.<br />

La decolonizzazione <strong>del</strong>la quale parliamo non va confusa e sovrapposta, però, al “post-colonialismo”, come<br />

spesso avviene nei discorsi <strong>del</strong>la cultura contemporanea.<br />

Post-colonialismo – e proprio dal punto di vista <strong>del</strong>la decolonizzazione (e da quale sennò?) – vuol dire: “a<br />

partire dall’avvento <strong>del</strong> colonialismo”. Il post-colonialismo inizia dal momento in cui un popolo-potere si<br />

impossessa di un altro, lo occupa, lo domina e lo sfrutta per il proprio profitto. Il colonialismo esemplare,<br />

eminente e totale, è quello che le nazioni imperiali europee hanno realizzato espandendosi verso tutti i mondi<br />

più o meno autonomi <strong>del</strong> pianeta a partire dal XVI secolo d.C. Esso continua, anzi, arriva finalmente a<br />

compimento, proprio a partire dalla disoccupazione territoriale che le nazioni imperiali hanno attuato dopo la<br />

fine <strong>del</strong>la seconda guerra mondiale nel XX secolo.<br />

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