CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it
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dualizzante. Questo punto i greci nominarono con la parola<br />
aletheia, che noi moderni però fraintendiamo quando la traduciamo<br />
con la parola «ver<strong>it</strong>à», pensando alla ver<strong>it</strong>as del giudizio,<br />
cioè alla adaequatio intellectus et rei. La parola aletheia<br />
(come mostra da sé la sua struttura, il suo alfa privativo, sicché<br />
essa letteralmente significa «a-letheia», «non-latenza»,<br />
«non-nascondimento»), non nomina la relazione tra il soggetto<br />
e l’oggetto, tra la coscienza e la cosa, ma il donarsi stesso<br />
del fenomeno alla presenza, il suo non-esser-nascosto nella lethe<br />
(nell’oscuro), e quindi il suo manifestarsi o appalesarsi. E<br />
in questo senso la sua «ver<strong>it</strong>à».<br />
Ne consegue che gli atti di coscienza e la correlazione universale<br />
dell’intenzional<strong>it</strong>à, ai quali Husserl si è rivolto come<br />
al terreno originario e fondante della sua fenomenologia, poggiano<br />
su un terreno ancor più originario. Terreno che i greci<br />
avevano ancora la possibil<strong>it</strong>à di ravvisare e di nominare, sebbene<br />
essi stessi non fossero poi in grado di pensarlo adeguatamente,<br />
dando inizio a quell’«erramento» che doveva concludersi<br />
nell’obiettivismo e nella crisi della ragione filosofica. Quel terreno<br />
è la questione stessa dell’essere (l’intenzional<strong>it</strong>à<br />
dell’essere, e non della coscienza), cioè il problema dell’essere<br />
dell’ente, del suo «senso d’essere», in quanto l’ente si da a vedere,<br />
si mostra nella presenza, è per sua natura «fenomeno»: rivelazione<br />
che è lo stupore originario stesso dal quale sorge la filosofia.<br />
4. Poi Heidegger continua: «Quanto più decisamente mi si chiariva<br />
questo punto di vista, tanto più si faceva pressante la domanda:<br />
da dove e come si determina ciò che, secondo il principio<br />
della fenomenologia, si deve esperire come ‘la cosa stessa’?<br />
Esso è la coscienza e la sua oggettiv<strong>it</strong>à, o è l’essere dell’essente<br />
nella sua nonascos<strong>it</strong>à e nel suo nascondimento?» La domanda<br />
suona ormai retorica: Heidegger sa bene di aver deciso, 35 anni<br />
prima, per la seconda alternativa. Egli era allora tormentato dal<br />
problema di come si possa operare il disvelamento della «cosa<br />
stessa». Un husserliano di stretta osservanza potrebbe osservare:<br />
perché te lo chiedevi? Husserl non ha fatto altro che mostrarlo<br />
per tutta la v<strong>it</strong>a. Si tratta del tema, infin<strong>it</strong>e volte ripreso, del me-<br />
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