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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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sost<strong>it</strong>uirne i pezzi. Possiamo sost<strong>it</strong>uire un rene come nell’auto<br />

cambiamo il filtro dell’aria, sebbene con assai più rilevanti problemi<br />

tecnici e non solo tecnici. Potremmo sost<strong>it</strong>uire anche il<br />

cervello? Secondo una mental<strong>it</strong>à «cartesiana» (che fu la prima a<br />

concepire il corpo umano come una macchina) sembrerebbe di<br />

sì; tuttavia siamo es<strong>it</strong>anti a concedere che ciò sia lec<strong>it</strong>o e senza<br />

problemi.<br />

In generale, quindi, io sono estraneo al mio corpo ed è con<br />

questo spir<strong>it</strong>o che lo porto dal barbiere, dal massaggiatore, dal<br />

chirurgo, o che lo porto al sole, secondo una diffusa mania di<br />

questo secolo.<br />

2. Ma guardiamo ora la cosa, non dal punto di vista delle noesi,<br />

ma dei noemi, come avrebbe detto Husserl. E allora vediamo<br />

che anche il corpo è estraneo all’io: esso mi è sconosciuto, oscuro<br />

ed enigmatico. Io vi sto sopra, direbbe Nietzsche, come se<br />

fossi a cavallo di una tigre. Il corpo mi porta spesso dove vuole;<br />

è feroce e imperscrutabile; ha sue ragioni che io ignoro. E se<br />

cerco di sbirciare da qualche fessura il mistero delle mie viscere,<br />

vedo poco o nulla del tutto: la natura ha gettato via la chiave,<br />

diceva Nietzsche, e noi non possiamo aprire la porta di questo<br />

mistero. Siamo affidati a un estraneo che non parla la nostra<br />

lingua o che non parla affatto.<br />

Non è poi solo questione di «conoscenza»; prima ancora è una<br />

questione di «urgenza»: le urgenze del corpo mi dominano e mi<br />

sovrastano. Altro che nave e nocchiero: qui la nave va dove<br />

vuole e ha una pericolosa predilezione per le tempeste; oppure<br />

le fugge come un coniglio, quando io le vorrei attraversare. Infine<br />

il corpo, proprio lui, mi porta la morte. Il mio corpicino caro<br />

e adorato tiene in serbo per me l’ultimo sgambetto (di rado o<br />

forse mai ci pensiamo, pensiamo il nostro corpo in questi termini):<br />

è probabile che la botta finale se ne stia già ora segnata e<br />

nascosta dentro di lui, il mio corpo; è già lì che cammina oscuramente<br />

e silenziosamente per aspettarmi al varco destinato dell’ultimo<br />

crocicchio. Platone, riprendendo antiche immagini, parlava<br />

del corpo come carcere dell’anima. Deprecabile dualismo,<br />

certo; ma anche immagine formidabile, poiché è proprio in questo<br />

corpo-carcere che si annida e si aggira la mia v<strong>it</strong>a, che va<br />

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