CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it
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zione va compresa, non cancellata. E cancellarla è poi di fatto<br />
impossibile. Dal che si misura la vacu<strong>it</strong>à delle aspirazioni di coloro<br />
che invocano nostalgicamente un pensiero «puro», «non<br />
obiettivante» e simili; il che equivale a non rendersi conto di<br />
che significhi e cosa comporti pensare. Senza l’obiettivazione<br />
della voce e del pensiero non saremmo condotti alla purezza<br />
della cosa, ma a niente del tutto e al silenzio di ogni possibile<br />
esperienza. Nell’acca-dere dell’evento del fenomeno, in quanto<br />
tale fenomeno è un sapere, ciò che è ineliminabile (sicché chi<br />
volesse eliminarlo è in posizione astrattamente utopica di incomprensione<br />
della natura dell’esperienza) è il fatto che<br />
l’evento accade sempre assieme alla sua interpretazione, cioè in<br />
una sua obiettivazione determinata.<br />
Proprio nel suo sapere la voce tra l’altro «sa» che ciò è vero di<br />
ogni evento e cioè di ogni gestual<strong>it</strong>à. La mano, la vista, obiettivano<br />
e, correlativamente, subiettivano; ma è poi la voce che lo<br />
dice, che articola in sé gli oggetti di queste gestual<strong>it</strong>à obiettivanti<br />
e li dispone e predispone nell’orizzonte della nostra quotidian<strong>it</strong>à<br />
«alla mano», cioè nel mondo-della-v<strong>it</strong>a che ci circonda e<br />
che noi stessi siamo.<br />
Naturalmente ci sono differenti livelli di obiettivazione e, in<br />
termini generali, almeno due. Il primo concerne il saper come<br />
(come fare). Ne abbiamo già parlato. Si tratta di quelle prassi e<br />
gestual<strong>it</strong>à «corporee» che obiettivano il mondo ponendolo<br />
per profili, per orientamenti e per articolazioni pratiche; obiettivano<br />
per esempio tracciando le relazioni fondamentali pienovuoto,<br />
interno-esterno, vicino-lontano ecc. La natura di queste<br />
prassi non coincide con ciò che intendiamo con la parola «sapere»<br />
in senso stretto; nondimeno esse sono un fare a suo modo<br />
sapiente, un saper come si fa che ci accompagna e ci sorregge<br />
in ogni istante. Da esse dipende una infin<strong>it</strong>a varietà di «sensi»<br />
dell’esperienza, con i connessi piaceri e dolori del vivere, ai<br />
quali siamo tutti fortemente attaccati. Tendiamo nondimeno a<br />
dimenticarcene, quando parliamo ideologicamente e in astratto<br />
del «senso» della v<strong>it</strong>a, con la pretesa che la v<strong>it</strong>a «abbia» o «non<br />
abbia» senso; cioè con la pretesa di una risposta o di un senso<br />
assoluti che come tali sono poi di fatto un niente del tutto nel<br />
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