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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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come già notava Merleau-Ponty. Non è il caso di disperarsi<br />

troppo. Questo paradosso è eminentemente v<strong>it</strong>ale. Non appartiene<br />

alla filosofia per un difetto della filosofia, come qualcuno<br />

pensa, o per un suo vizio d’origine. Appartiene alla filosofia<br />

perché, prima ancora, appartiene a ogni prassi ed è il paradosso<br />

della prassi. Il che significa: la sua condizione di possibil<strong>it</strong>à e di<br />

successo. E questo paradosso che ci tiene in v<strong>it</strong>a.<br />

La paradossal<strong>it</strong>à della prassi sta infatti nel r<strong>it</strong>agliarsi una sfera<br />

del «proprio» che rende «estraneo» tutto il resto. Atto arb<strong>it</strong>rario<br />

per il fatto che la prassi rende appunto proprio l’estraneo ed estranea<br />

il proprio, dove questi termini stessi sono paradossali,<br />

data la loro reciproc<strong>it</strong>à evanescente e non prestabil<strong>it</strong>a né determinabile<br />

in modo assoluto. E perché sono il medesimo che il<br />

bambino e il latte della madre crescono insieme; e tuttavia sono<br />

estranei: la prassi li divide, la prassi li congiunge. Empedocle e<br />

Anassagora dovevano aver visto qualcosa del genere: il simile<br />

col simile, l’amore e l’odio e così via.<br />

Se il mondo è l’inaggirabile, come diceva Heidegger, è evidente<br />

che ogni movimento verso il mondo è già una assurd<strong>it</strong>à,<br />

un paradosso. Che vuoi dire movimento verso il mondo se ci<br />

sono già nel mondo? Non è fuori quel mondo verso il quale mi<br />

dirigo, ma è anzi già il dentro di ogni mia più riposta intim<strong>it</strong>à, vi<br />

è già presente e prefigurato. Né si può dire che io mi muovo nel<br />

mondo, come se il mondo fosse un conten<strong>it</strong>ore e non, come diceva<br />

Merleau-Ponty, la stessa carne della mia carne. Tutti questi<br />

paradossi non hanno però imped<strong>it</strong>o mai a nessuno di andare da<br />

qui a lì, come facevano polemicamente gli interlocutori di Zenone<br />

l’eleate; né alla mano di afferrare realizzando il paradosso,<br />

eserc<strong>it</strong>andolo in atto.<br />

Che vuoi dire ciò? Vuoi dire che dobbiamo pensare l’afferrare<br />

della mano come un porre il mondo a distanza, come se il mondo<br />

fosse un «fuori», o nella figura e nella sembianza, nel segno,<br />

del fuori. Così pure il piede cammina e traccia un percorso nel<br />

mondo come se il mondo fosse l’inerte conten<strong>it</strong>ore del suo<br />

camminare e il luogo di registrazione del suo r<strong>it</strong>mo binario: destra,<br />

sinistra... Ma tutto ciò si può fare appunto perché il mondo<br />

non è fuori, in un «di là» irraggiungibile: è dentro la mia mano e<br />

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