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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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la conseguenza di questa prassi e quindi il suo attore non primario<br />

ma secondario. Di qui, si potrebbe osservare, quelle ambigu<strong>it</strong>à<br />

husserliane mai risolte, né resolubili entro l’impostazione<br />

metodica della fenomenologia canonica, tra l’ego cog<strong>it</strong>o e l’io<br />

anonimo fungente. Il che peraltro induce anche a riconoscere<br />

che Husserl si era posto su una via molto feconda.<br />

Abbiamo allora questo rimbalzo della vocem (della voce anonima,<br />

senza soggetto) che si determina come vox (per dir così,<br />

cioè maltrattando un po’ la grammatica). L’origineprovenienza,<br />

o meglio il provenire originario, diviene la destinazione<br />

stessa. In altri termini: la voce che risuona «là» (in<br />

quello spazio di provenienza che caratterizza tutti i fenomeni<br />

acustici) ha il destino di essere sent<strong>it</strong>a «qua». Cosa cerco di dire,<br />

con molte inev<strong>it</strong>abili imperfezioni? Che il primo effetto di<br />

quella prassi che è il gesto vocale è l’autonominazione implic<strong>it</strong>a.<br />

A chi è destinata originariamente la voce del bambino se<br />

non al bambino, cioè alle sue orecchie? Se la pensate destinata<br />

agli altri è perché già siete adulti, già partecipi della intersoggettiv<strong>it</strong>à<br />

della parola, e allora d<strong>it</strong>e: il bambino mi chiama. Se così<br />

non fosse, il bambino sarebbe perduto. Ma per l’originaria esperienza<br />

del bambino la voce è semplicemente il rimbalzo del suo<br />

sé inconsapevole, ovvero non ancora cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o e cost<strong>it</strong>uentesi<br />

per il rimbalzo. La destinazione della voce è così il rispecchiamento<br />

di un em<strong>it</strong>tente, cioè la sua apparizione. Egli è colui che<br />

è rispecchiato, e tale resterà per sempre.<br />

17. Abbiamo già notato che i gesti non sono così puri come li<br />

stiamo descrivendo. Se c’è un grido vi è anche dell’altro: uno<br />

sforzo muscolare, una tensione della gola e della mascella ecc.<br />

Soprattutto vi è un’urgenza, per esempio di un vuoto da riempire<br />

con i connessi dolori del bisogno. Certamente il bambino non<br />

grida in purezza angelica al solo scopo di facil<strong>it</strong>are le nostre teorie<br />

fenomenologiche. Sicché il grido infantile rispecchia anche,<br />

come dicono gli psicologi, l’ira del bambino, la sua rabbia,<br />

la sua impotenza e la sua disperazione. In questo senso la voce<br />

non è solo l’esperienza originaria della distanza «proveniente»,<br />

ma è anche e più la prima «espressione» della distanza e del<br />

connesso bisogno di «riempimento».<br />

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