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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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trebbe esemplificare, che va da Platone ed Eudosso a Einstein,<br />

per quanto concerne le nostre idee cosmologiche, oppure da Tucidide<br />

a Hegel e Dilthey per quanto concerne la nostra concezione<br />

del mondo storico. Il pregiudizio che è proprio della nostra<br />

cultura ci impedisce di vedere che questa idea del mondo<br />

obiettivo in generale non è ciò che dice di essere il suo contenuto.<br />

Esso parla di un mondo reale in sé e per sé, ma l’idea di<br />

un tale contenuto è a sua volta il frutto di molto determinate e<br />

contingenti pratiche di parola, di scr<strong>it</strong>tura e di esperienza: quelle<br />

pratiche logico-sperimentali che Husserl chiamava «sustruzioni».<br />

Noi abbiamo dunque in testa (o, come meglio direbbe Peirce,<br />

nella potenzial<strong>it</strong>à dei nostri ab<strong>it</strong>i di risposta) un’immagine molto<br />

n<strong>it</strong>ida della strada di casa e di come orientarsi per r<strong>it</strong>rovarla ogni<br />

sera; poi anche l’immagine del mondo copernicano, perché<br />

l’abbiamo imparata a scuola, l’abbiamo letta nei libri e<br />

l’abbiamo assorb<strong>it</strong>a dal clima culturale generale nel quale viviamo.<br />

Certo, nessuno di noi ha mai «visto» il mondo copernicano:<br />

esso non si può percorrere con le gambe e misurare con<br />

gli occhi; la sua oggettual<strong>it</strong>à appartiene ad altri tipi di operazioni.<br />

E tuttavia innegabile che tra le varie immagini del mondo<br />

che ci appartengono c’è anche quella del mondo copernicano,<br />

diversa da quella del mondo tolemaico o dalle immagini cosmogoni<br />

che del m<strong>it</strong>o.<br />

Quando parliamo di immagine non intendiamo riferirci a<br />

qualcosa come un quadro o una fotografia che starebbe nella<br />

nostra testa. Abbiamo dedicato in passato analisi specifiche a<br />

questo tema che qui non è possibile ripetere. Ciò che intendiamo<br />

è l’interna disponibil<strong>it</strong>à a reagire in modo appropriato<br />

di fronte alla scelta dei percorsi, materiali e mentali, che in<br />

ogni momento siamo chiamati a mettere in opera. Ci riferiamo<br />

cioè alle «gestual<strong>it</strong>à» verbali e non verbali che conviene<br />

via via approntare per far fronte alle provocazioni dell’esperienza<br />

nei suoi differenti contesti pratici. Di fatto, diceva<br />

Peirce, questi percorsi possibili li sappiamo «riconoscere»,<br />

ogni volta che se ne presentano le condizioni, per il fatto di<br />

averli percorsi e ripercorsi, tracciati e rintracciati, e questo è<br />

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