CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it
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sce a veder altro e che di esso si accontenta: che ora è giorno,<br />
non notte, che quello è il sole, non la luna, che questo è un<br />
uomo, non una donna, e via e via.<br />
Ma questo è poi proprio ciò che la nostra paradossale frase di<br />
partenza mirava appunto a mostrare: la cosa che si manifesta<br />
da sé in presenza non è la cosa che si manifesta da sé in presenza,<br />
perché, per esprimerci rozzamente, quella cosa è due<br />
cose: è il lampo, ma in realtà è il lampo-tenebre. Quindi, proprio<br />
perché la cosa che si manifesta «è» quella cosa che è<br />
(lampo, non tenebra), allora la cosa che si manifesta anche «non<br />
è» la cosa che si viene manifestando ( il lampo-tenebra), che urge<br />
la presenza e si fa fenomeno. La scelta di un termine esige<br />
anche l’altro. Donde l’ambigu<strong>it</strong>à della frase, la sua dual<strong>it</strong>à «esattamente»<br />
nella non dual<strong>it</strong>à e viceversa.<br />
16. Consideriamo più attentamente questa duplice urgenza. Riflettiamo<br />
sul primo punto, cioè sul rivelarsi della dual<strong>it</strong>à. Stiamo<br />
evidentemente dicendo che la diade è più originaria della<br />
monade. Se la metafisica è attraversata da un’ossessione di un<strong>it</strong>à<br />
(posto che sia così o solo così), noi stiamo rivendicando, contro<br />
questa immagine della metafisica, i dir<strong>it</strong>ti dell’esperienza,<br />
come Husserl voleva («noi siamo i veri pos<strong>it</strong>ivisti»). La dual<strong>it</strong>à<br />
infatti dipende dalla natura della cosa stessa, alla quale, come<br />
sappiamo, va data la parola. La cosa stessa è incatenata al suo<br />
analogon; la cosa stessa è l’analogon di sé. Io pronuncio una parola<br />
e così rompo il silenzio. La parola diventa allora la traccia e<br />
il segno del silenzio. Oppure taccio e non parlo più. Ma così ho<br />
un silenzio di parola e il silenzio diviene segno eloquente del<br />
mio non parlar più. Mai la cosa è semplicemente se stessa; essa<br />
è sempre il segno di sé e del suo interno rinvio. Lampo-oscur<strong>it</strong>à,<br />
maschio-femmina, giorno-notte: uno è in presenza per l’altro,<br />
direbbe Hegel.<br />
Questo che diciamo non va però pensato come se la presenza<br />
fosse una sorta di conten<strong>it</strong>ore o di luogo neutro e amorfo: dentro<br />
di esso starebbero i termini della dual<strong>it</strong>à, sebbene non insieme<br />
ma in forma disgiuntiva (direbbe di nuovo Hegel): o l’uno o<br />
l’altro. Noi però sappiamo che anche la presenza appartiene a<br />
ciò che prima chiamavamo «il gioco dei quattro cantoni»: anche<br />
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