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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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non conosc<strong>it</strong>ivo. L’ente è anz<strong>it</strong>utto per l’esserci un averci a che<br />

fare, secondo i modi della «cura» descr<strong>it</strong>ti in Essere e tempo, e<br />

non qualcosa da conoscere. L’incontro originario con la luna<br />

non è mosso dapprima da una domanda astronomicoconosc<strong>it</strong>iva.<br />

Questo tipo di incontro si realizza in stratificazioni<br />

molto successive dell’esperienza. L’incontro originario ha a che<br />

fare invece con il prender dimora dell’uomo nel mondo, con il<br />

carattere «etico» della sua esperienza, e con la domanda che è<br />

inerente alla sua «gettatezza», cioè all’angoscia del suo donde e<br />

verso dove. A seconda di come questa domanda si orienta e si<br />

articola, per esempio nel senso di una complessiva interpretazione<br />

sacrale dei fenomeni dell’esperienza, allora anche l’incontro<br />

con la luna ne è segnato e diretto, ed ecco che la luna appare<br />

come una Dea che regge i destini degli uomini e governa i loro<br />

sogni.<br />

Lo stesso deve dirsi della parola. Husserl voleva che la si lasciasse<br />

alle cose stesse, ma poi faceva parlare la coscienza. Ma<br />

prima che della coscienza, la parola è proprio della cosa, è del<br />

mondo, è parola dell’essere. Non perché le cose dell’esperienza<br />

siano loquaci o l’essere parli con i tuoni, come gli Dei dei bestioni<br />

vichiani; ma perché la parola umana è l’incorporazione<br />

finale di un gesto manifestativo assai più originario. E questo<br />

gesto manifestativo è l’evento di quella luminos<strong>it</strong>à essenziale<br />

che è appunto la luce che fa apparire i fenomeni: che li mostra e<br />

che li mette in mostra. E questa voce dell’essere che chiama in<br />

presenza: chiama Tesserci ad aver da essere il suo «ci»; cioè lo<br />

chiama alla cura essenziale del vivere, dell’essere-nel-mondo,<br />

avendo cura degli enti, tram<strong>it</strong>e l’incontro col loro senso dispiegato<br />

e destinato.<br />

Ora, questa voce noi possiamo ascoltarla o non ascoltarla.<br />

Possiamo restare coinvolti e travolti entro la prassi quotidiana,<br />

enti tra gli enti, senza avvederci del senso che la governa e che<br />

la dirige. Possiamo fare della cura degli enti una copertura dell’angoscia<br />

che domanda, vivendo inautenticamente la nostra<br />

condizione di inquis<strong>it</strong>i dal senso dell’essere. In modo analogo,<br />

possiamo usare le parole come semplici mezzi per comunicarci<br />

questo e quello, secondo contingenti preoccupazioni ed esigen-<br />

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