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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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scienza sui generis va in qualche modo edificata. La sua differenza<br />

consisterà nell’abbandonare, in linea di principio, l’ideale<br />

obiettivistico delle scienze comuni, ideale sul quale esse riposano<br />

aproblematicamente. Riposano per modo di dire, poiché<br />

quell’ideale, che indubbiamente governa i loro successi, è però<br />

anche il letto di Procuste delle loro inquietudini, delle loro crisi<br />

e dei loro paradossi, cioè della loro ricorrente tentazione di cadere<br />

preda della morte o del diavolo.<br />

Certo però che è uno stretto pertugio quello per il quale, esemplificato<br />

com’è da un paio di virgolette, la fenomenologia<br />

deve passare: o passa di qui o muore qui. E Husserl sa di star<br />

compiendo l’ultimo tentativo, l’ultima revisione. Su Heidegger,<br />

il discepolo prediletto di un tempo, «il bambino fenomenologico»,<br />

come una volta Husserl lo definì (non pare con molto entusiasmo<br />

dell’interessato, che era presente e, dicono i testimoni,<br />

si chiuse in un silenzio imbronciato), non era più il caso di contare.<br />

Da molti anni il sogno della «ragione fenomenologica»<br />

non faceva più per lui.<br />

12. E giunto il momento di sentire anche la voce dello scienziato.<br />

E Husserl infatti gli da idealmente la parola, affinchè svolga<br />

quelle obbiezioni che è presumibile che a questo punto solleverebbe.<br />

Per esempio potrebbe dire: che è mai questo mondo-dellav<strong>it</strong>a<br />

che viene continuamente evocato? Non è forse il mondo a<br />

tutti noto delle prassi comuni e ab<strong>it</strong>uali, del commercio quotidiano<br />

con le cose e delle conoscenze ovvie? E che altro fa la<br />

scienza se non rendere più sistematico, più universale, più esatto<br />

tutto ciò che nella v<strong>it</strong>a quotidiana è oggetto di conoscenze<br />

confuse, inesatte e talvolta francamente sbagliate? Dov’è allora<br />

tutto questo supposto contrasto tra i due mondi, quello scientifico<br />

e quello prescientifico? E chi vi autorizza poi a r<strong>it</strong>enere noi<br />

scienziati così dogmatici da credere che le nostre obiettiv<strong>it</strong>à ideali<br />

siano reali nello stesso modo in cui lo sono il mio mal di<br />

denti o l’albero lì di fronte? Quel che diciamo è che la realtà<br />

delle mie percezioni è vaga e incerta e se voglio modificarla a<br />

mio vantaggio devo per forza scavalcarla. Perché parlare allora<br />

di un Galileo «ricopr<strong>it</strong>ore»? Se un masso precip<strong>it</strong>a dalla monta-<br />

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