CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it
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«fenomenologico»: come e dove stiamo nel nostro corpo? nella<br />
punta delle d<strong>it</strong>a o nella punta dei piedi? nel braccio o nella testa?<br />
oppure dappertutto? E, d’altra parte, come potrebbero esservi<br />
nel mondo un sopra e un sotto, un destra e sinistra, senza<br />
riferimento al mio corpo? Per un animale che non fosse duplice<br />
(due occhi, due braccia, due gambe e così via) avrebbero senso<br />
e sarebbero comprensibili i comuni orientamenti, per cui la Cina<br />
è a destra, l’America a sinistra, la stella polare sopra e la croce<br />
del sud sotto? Possiamo rendere scientifiche e «ogget-tive» tali<br />
nozioni, ma potremmo farlo senza un preventivo riferimento alla<br />
corpore<strong>it</strong>à vivente e alle sue gestual<strong>it</strong>à?<br />
Apriamoci la via con un noto detto heideggeriano rifer<strong>it</strong>o in<br />
generale al mondo: noi non stiamo nel mondo come il pesce<br />
nell’acqua e la chiave nella toppa. Analogamente possiamo dire:<br />
non stiamo così nel nostro corpo. Infatti il corpo non è un<br />
semplice ambiente o mezzo in cui sguazzi la mia anima. E neppure<br />
si può dire che l’anima e il corpo stiano tra loro in un perfetto<br />
incastro, come la chiave rispetto alla sua toppa. Il fatto è<br />
che la nostra esperienza del corpo riveste tratti molto problematici.<br />
Da un lato non ci identifichiamo col corpo. Per questo diciamo<br />
che vi stiamo dentro, così come diciamo di stare in questa<br />
stanza o in questo vest<strong>it</strong>o, che certo non siamo. La chiave<br />
non è la toppa, il pesce non è l’acqua. Io non sono questa stanza,<br />
questo vest<strong>it</strong>o e neppure il mio corpo. Può cap<strong>it</strong>armi la disgrazia<br />
di perdere un d<strong>it</strong>o, un braccio, un occhio e però di restare<br />
«io».<br />
Proprio perché non siamo il nostro corpo, possiamo viverlo<br />
dal di fuori, come un «di contro». E ciò che facciamo continuamente,<br />
in quanto il corpo lo laviamo, lo vestiamo, lo esibiamo<br />
e lo contempliamo riflesso nello specchio. Tutte cose che<br />
l’animale può fare lim<strong>it</strong>atamente o non può fare affatto. In<br />
quanto il corpo è la nostra estrane<strong>it</strong>à noi lo possiamo anche usare,<br />
farne uno strumento, come il nocchiero con la nave, diceva<br />
Platone. Non sarebbe altrettanto corretto dire che l’animale usa<br />
il corpo; l’animale, piuttosto, è l’uso del suo corpo. Noi possiamo<br />
inoltre istruire il nostro corpo, insegnargli a nuotare o a sciare,<br />
a parlare e a scrivere. E infine possiamo ripararlo e persino<br />
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