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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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to modo, è «difforme»: infatti non si pone domande, a quanto<br />

pare. O forse questa è solo una teoria e bisogna piuttosto vedere<br />

come Dio è incontrato. E in ver<strong>it</strong>à, però, viene sol<strong>it</strong>amente<br />

incontrato più come risposta che non come domanda. Tuttavia<br />

nella teologia possono stare molte cose. In Schelling, per esempio,<br />

Dio ha dei problemi e l’uomo sarebbe la risposta a<br />

questi problemi, dal che si vede sub<strong>it</strong>o che la cosa si metterà<br />

male. Ma insomma, sia come si sia quanto a Dio, per Tesserci<br />

lasciar essere la presenza significa: lasciare che venga alla luce<br />

il senso del «ci» dell’esserci, il senso del suo essere-nel-mondo.<br />

Il che però comporta una buona dose d’angoscia (l’angoscia del<br />

non sapere né poter sapere il donde e il verso dove) e quindi la<br />

tentazione sempre risorgente di ricoprire l’angoscia perdendosi,<br />

come diceva Husserl, nella van<strong>it</strong>à degli interessi «mondani».<br />

Distogliersi da questa tentazione è allora l’equivalente del lasciar<br />

essere che la presenza venga incontro così com’è, cioè come<br />

progetto infondato e come possibil<strong>it</strong>à dell’impossibile (impossibil<strong>it</strong>à<br />

dell’«aver senso»).<br />

Noi però sappiamo: nella presenza si illumina l’ente, non<br />

l’essere dell’ente. Non è possibile illuminare la luce: è lei che<br />

illumina e che illuminando si fascia di ente. In certo modo non<br />

si fa vedere perché fa vedere. Nei termini di Husserl: è un io<br />

«anonimo» quello che ultimativamente funge; com’è possibile<br />

dargli un nome lasciandolo com’è? Sembra strutturalmente impossibile<br />

lasciar essere qualcosa che «non è», che non è un<br />

«ente», che se è, è «niente».<br />

2. Husserl farebbe certamente notare che l’essere di cui parliamo<br />

è poi il significato di ver<strong>it</strong>à, cioè un’infin<strong>it</strong>a intenzional<strong>it</strong>à e<br />

un’infin<strong>it</strong>a teleologia. Non si vede la ver<strong>it</strong>à, ma si vede nella<br />

ver<strong>it</strong>à, e questa non va idolatricamente abbassata a «qualcosa».<br />

Per questo la parola «essere» di Heidegger gli sembrava, per lo<br />

più a torto, una ricaduta nel «naturalismo». Ma ciò non fa che<br />

ribadire la nostra difficoltà: ciò che dunque si presenta, innanzi<br />

tutto e per lo più, ciò che è nella presenza (compresi noi stessi<br />

in quanto certo vi siamo) non è mai né l’essere, né il senso, né<br />

la sua ver<strong>it</strong>à.<br />

Ora, la questione non è qui banalmente del tipo: ignoramus et<br />

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