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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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piuttosto di una «trasformazione» della pratica filosofica nel suo<br />

interno e di una nuova esperienza del pensiero. Il che poi, lasciando<br />

cadere ogni «enfasi epocale», è ciò che alla pratica filosofica<br />

(come d’altronde a ogni pratica) è sempre accaduto.<br />

26. C’è infatti e anz<strong>it</strong>utto da dire di questa pratica stessa di parola<br />

e di scr<strong>it</strong>tura che stiamo eserc<strong>it</strong>ando. Se diciamo che ogni<br />

pratica è «fin<strong>it</strong>a» ed è una messa in opera contingente dei segni<br />

della ver<strong>it</strong>à, che dobbiamo pensare di questa affermazione stessa?<br />

Essa ha il suo senso in quanto ciò che dice non viene assunto<br />

solo dal lato del significato «oggettivo» che esprime. In questo<br />

il suo dire manifesta proprio l’insensatezza della contraddizione<br />

e l’insignificanza della impensabil<strong>it</strong>à. Eppure proprio questo<br />

dire va tenuto fermo. Esso rimbalza sul soggetto e lo dispone<br />

in una nuova collocazione nei confronti della pratica di parola,<br />

di pensiero e di scr<strong>it</strong>tura che viene eserc<strong>it</strong>ando. Pervenendo<br />

al significato «oggettivo» del suo dire il soggetto ne sperimenta<br />

il lim<strong>it</strong>e cost<strong>it</strong>utivo. Il che, in altri termini, significa che il soggetto<br />

è condotto a rivolgersi al suo stesso evento come evento<br />

della pratica che sta eserc<strong>it</strong>ando. La «provocazione» dell’evento<br />

della ver<strong>it</strong>à diviene così il luogo del coinvolgimento del soggetto<br />

che da un lato non può né uscire né desiderare di uscire dalla<br />

sua pratica cost<strong>it</strong>utiva (ogni usc<strong>it</strong>a verso una nuova pratica ripeterebbe<br />

l’insensatezza che il pensiero delle pratiche gli ha reso<br />

accessibile e praticabile); dall’altro lato, proprio collocandosi<br />

nel rimbalzo al livello dell’evento che gli da luogo, il soggetto<br />

di fatto sta altrimenti nella sua pratica e così anche la modifica.<br />

Non è più totalmente soggetto alla pratica che eserc<strong>it</strong>a, in quella<br />

inconsapevolezza che Husserl più efficacemente di tutti ha denunziato;<br />

non per questo diviene soggetto della sua pratica, re<strong>it</strong>erando<br />

il sogno arcontico della filosofia e della fenomenologia.<br />

Ogni «presa di coscienza» è comunque deb<strong>it</strong>rice della pratica<br />

che la mette in opera ed è in varia misura soggetta a essa.<br />

La comprensione di questo nodo è ciò che vorrei chiamare<br />

«passaggio all’etica», pur sapendo che la parola «etica» è sin<br />

troppo carica di passato e soprattutto oggi (forse non a caso) patisce<br />

di un uso «inflazionato» che la rende ambigua e al lim<strong>it</strong>e<br />

insignificante. Il passaggio all’etica è in realtà la questione stes-<br />

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