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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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cioè dai suoi progetti «mondani», contingenti e «fin<strong>it</strong>i». Così egli<br />

resta preda del suo lim<strong>it</strong>ato orizzonte di interessi, e cioè delle sue<br />

idiosincrasie e dei suoi pregiudizi. E questo l’uomo, dirà poi<br />

Heidegger, della «quotidian<strong>it</strong>à media», dominato dalla sua «cura»<br />

per l’ente immediatamente presente e dai suoi progetti «inautentici».<br />

In questa v<strong>it</strong>a inautentica l’uomo è accecato e velato dalle<br />

preoccupazioni del quotidiano: agisce e patisce quel che c’è da<br />

agire e patire, ma non sa perché, non se ne chiede l’ultimo senso.<br />

Così non attinge la consapevolezza del carattere infin<strong>it</strong>o del progetto<br />

in quanto progetto «umano», cioè ignora il senso ultimo del<br />

vivere (l’«essere per la morte», suggerirà Heidegger). Lo ignora<br />

non essendo mai arrivato davvero a «pensarlo» (come l’uomo del<br />

m<strong>it</strong>o), o perché ne ha obliato l’intenzional<strong>it</strong>à filosofica originaria<br />

(come l’europeo in crisi).<br />

Anche Nietzsche aveva detto in mer<strong>it</strong>o la sua: colui che agisce<br />

è necessariamente accecato; l’azione esige un alone di nebbia o<br />

di vapore che impedisca allo sguardo di andare troppo avanti o<br />

troppo indietro e al pensiero di sollevare troppe domande. Bisogna<br />

invece concentrarsi sul presente, su ciò che è da fare e sul<br />

come farlo, sulla passione dell’immediato, senza badare troppo<br />

alle conseguenze e al «senso ultimo» di ciò che si fa e di ciò per<br />

cui si fa. Chi agisce deve essere necessariamente «ingiusto»; se<br />

vuoi essere giusto verso tutto e verso tutti, non agisce più. Come<br />

Amleto, che vede troppo per consentirsi di agire.<br />

Se però la v<strong>it</strong>a dell’uomo ha in sé connaturato un velamento, ha<br />

anche la possibil<strong>it</strong>à dello svelamento. La v<strong>it</strong>a diretta dell’uomo<br />

non è quella del «maiale soddisfatto», diceva J. S. Mill. E una v<strong>it</strong>a<br />

che ha «interessi» e che è tutta presa da questi interessi; ma in<br />

essi già riflette, si distanzia dal mondo, trascende la s<strong>it</strong>uazione, se<br />

non altro perché solo così può usare il mondo per soddisfare i<br />

suoi interessi. Nella v<strong>it</strong>a irriflessa c’è già il germe della v<strong>it</strong>a riflessa<br />

(il che è il problema stesso di una «genealogia della ragione»):<br />

la v<strong>it</strong>a in presa diretta non è soltanto in presa diretta. Non<br />

c’è dunque un’uman<strong>it</strong>à che non sia anche, seppure germinalmente,<br />

razionale e cioè filosofica. La filosofia non è che lo sforzo di<br />

rendere questo fatto universale qualcosa di «arcontico», la verace<br />

guida del vivere. La filosofia si radica in una possibil<strong>it</strong>à universa-<br />

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