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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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iconoscimento per poterlo ravvisare, così non so bene a cosa<br />

dovrei disporrai, se le indicazioni di cui dispongo non mi siano<br />

del tutto chiare. E noi qui credo che dobbiamo francamente ammettere<br />

che le indicazioni sul metodo fenomenologico non ci risultano<br />

affatto chiare. Prendiamo per esempio la ripetuta espressione<br />

«lasciare»: bisogna lasciare che le cose, i fenomeni, la presenza...<br />

bisogna lasciar essere e così via. Che significa questa<br />

continua esortazione a «lasciare»? In filosofia le esortazioni, gli<br />

inv<strong>it</strong>i perentori e i toni «morali» non stanno al posto loro; la filosofia<br />

deve caso mai chiarire i fondamenti e i cr<strong>it</strong>eri del valutare e<br />

non se questo sia meglio o peggio di quello, se oggi si stia meglio<br />

di ieri e altre cose del genere. E poi (ed è il più importante):<br />

si inv<strong>it</strong>a a lasciare; ma chi deve lasciare? che cosa deve lasciare?<br />

e infine perché deve? C’è un’altra domanda: si può, poi, lasciare?<br />

Si potrebbe osservare: in generale si inv<strong>it</strong>a a lasciar essere la<br />

presenza così com’è (o come si da). Ma anche questo è un inv<strong>it</strong>o<br />

poco chiaro, se è vero che i fenomeni, in generale e per lo più,<br />

non si presentano. Forse è meglio che cominciamo dalla domanda<br />

sul «chi»: chi deve lasciare?<br />

Proviamo a immaginare come risponderebbe Husserl. Forse<br />

direbbe così: l’inv<strong>it</strong>o è rivolto alla coscienza comune, che vive<br />

l’esperienza in presa diretta e perciò la accoglie inavvert<strong>it</strong>amente<br />

in base alle sue opinioni e pregiudizi; e così non la lascia essere<br />

per se stessa, per come essa è nel suo fungere reale. A questo<br />

fungere resta cieca; lo ricopre con ciò che essa r<strong>it</strong>iene che esso<br />

debba essere.<br />

E Heidegger: l’inv<strong>it</strong>o è rivolto a tutti noi, perché noi siamo gli<br />

inquis<strong>it</strong>i dal senso dell’essere. Le cose diverse da noi, cioè «difformi<br />

dall’esserci», non sono inquis<strong>it</strong>e; esse non hanno da essere<br />

il loro «ci». Solo noi, che siamo «gettati» nel mondo, ignari del<br />

donde e del verso dove, incontriamo l’esigenza del «senso». Così<br />

noi siamo gli interroganti, siamo coloro che vogliono sapere il<br />

senso, il senso del donde e del verso dove; e nel contempo siamo<br />

gli inquis<strong>it</strong>i. Per noi ne va del senso dell’essere, in quanto con<br />

esso ne va di noi, del nostro esserci, cioè del nostro senso.<br />

L’esserci è pertanto un essere speciale, cui lo stesso Dio, in cer-<br />

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