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CARLO SINI SCRIVERE IL FENOMENO - Filosofia.it

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ze pratiche. E così restiamo sordi e ciechi rispetto all’originaria<br />

apertura manifestativa che è propria della parola. Il che sarebbe<br />

come dire: vivere e parlare senza pensare. La fenomenologia ci<br />

riporta invece all’apertura del pensiero. Essa chiede che noi, facendo<br />

un salto indietro, o di lato, rispetto alla quotidiana e inautentica<br />

«cura» e rispetto al linguaggio utilizzato come «chiacchiera»<br />

impersonale e anonima dei nostri molti «si dice», ci rivolgiamo<br />

invece al problema della «espressione» del senso dell’essere,<br />

all’esibizione della sua temporal<strong>it</strong>à e storic<strong>it</strong>à enigmatica:<br />

là dove l’essere umano si trova sempre e da sempre esistenzialmente<br />

coinvolto e «destinato».<br />

5. Così potrebbero dire i nostri due maestri. A noi non interessa<br />

discutere qui le loro ragioni e controragioni. Interessa piuttosto<br />

osservare che questa voce dell’essere, come l’inv<strong>it</strong>o di tornare<br />

alle cose stesse, sembrano dire il contrario di ciò che dicono.<br />

L’inv<strong>it</strong>o verso la ver<strong>it</strong>à si traduce in occultamento. La voce<br />

dell’essere chiama al suo stesso errore e al suo stesso errare. La<br />

«storic<strong>it</strong>à» dell’essere manifesta un destino per il quale la terra<br />

promessa (come si espresse Husserl) è una promessa che non<br />

viene esaud<strong>it</strong>a mai. Nella più ottimistica delle versioni (quella<br />

husserliana) tale visione della terra promessa è rinviata<br />

all’infin<strong>it</strong>o. Inv<strong>it</strong>andoci a una presenza impossibile (o perché<br />

ogni presenza è anche occultamento, o perché la presenza «vera»<br />

sta all’infin<strong>it</strong>o e non c’è mai), la fenomenologia sembra paradossalmente<br />

inv<strong>it</strong>arci a ricoprire il fenomeno: checché diremo<br />

o faremo per disoccultarlo sarà un altro modo per ricoprirlo, per<br />

riconoscerei «erranti» in un «comp<strong>it</strong>o infin<strong>it</strong>o», o fatalmente<br />

«fin<strong>it</strong>i» e «gettati» nella nostra figura storicamente destinata al<br />

suo cost<strong>it</strong>utivo «errore». Che cosa vuole veramente la fenomenologia?<br />

Siamo così più sconcertati di prima; e cominciamo giustamente<br />

a dub<strong>it</strong>are che non solo la presenza e l’inv<strong>it</strong>o a «lasciar» essere<br />

la sua manifestazione siano poco chiari o ambigui, ma anche<br />

il «fenomeno», la «cosa stessa» e la «parola»: siamo davvero in<br />

chiaro su ciò che essi sarebbero e sui loro rapporti fenomenologici?<br />

Mancandoci palesemente quell’«accesso» al metodo,<br />

quell’«afferramento» primo che Heidegger invocava, ciò che ne<br />

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