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Le strategie per lo sviluppo dell'agricoltura biologica. - Sistema d ...

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io<strong>lo</strong>gico si combini con altri segni di qualità nel determinare il prezzo. Uno studio<br />

sui prezzi del vino bio<strong>lo</strong>gico (Corsi e Strøm, 2008) mostra che il carattere bio<strong>lo</strong>gico<br />

non determina semplicemente un aumento di prezzo rispetto ad altri fattori (come<br />

DOC, DOCG, o la varietà del vitigno), ma cambia il modo con cui queste altre<br />

caratteristiche influiscono sul prezzo. Il tema del differenziale di prezzo a livel<strong>lo</strong> di<br />

produzione rimane comunque poco conosciuto.<br />

Un’ultima questione sul fronte dei ricavi riguarda la filiera corta, tra cui i<br />

mercati degli agricoltori (farmers’ markets), ed il tema correlato delle food miles 31 .<br />

Sono argomenti molto trattati negli ultimi tempi, con una doppia valenza: da una<br />

parte, si sottolinea che la semplice rispondenza alle regole della produzione<br />

bio<strong>lo</strong>gica non è sufficiente a garantire un minore impatto ambientale della<br />

produzione, <strong>per</strong>ché l’impatto del trasporto a lunga distanza rischia di far <strong>per</strong>dere i<br />

vantaggi ambientali della tecnica bio<strong>lo</strong>gica. Dall’altro, questa tematica è vista come<br />

uno strumento <strong>per</strong> far acquisire agli agricoltori una quota maggiore del va<strong>lo</strong>re<br />

aggiunto della filiera, sia rimuovendo posizioni oligopolistiche presenti al suo<br />

interno, sia ascrivendo all’agricoltura funzioni prima svolte da altre figure.<br />

Attualmente l’utilizzo di questi canali è relativamente ridotto fra le aziende<br />

bio<strong>lo</strong>giche (Corsi, 2007), nonostante si possa pensare a priori che si prestino bene<br />

<strong>per</strong> la commercializzazione del bio<strong>lo</strong>gico. Si tratta di un tema da approfondire con<br />

attenzione, <strong>per</strong>ché un’organizzazione di filiera corta o basata sulla vendita diretta<br />

può indubbiamente fornire delle opportunità agli agricoltori bio<strong>lo</strong>gici, ma non si<br />

presta <strong>per</strong> tutte le aziende e <strong>per</strong> tutte le produzioni. Entrare nel campo della<br />

distribuzione comporta infatti, accanto ad una crescita dei ricavi, anche un aumento<br />

di costi, soprattutto in termini di costi di trasporto e del tempo di lavoro, oltre<br />

ovviamente quelli relativi agli investimenti necessari. Una recente ricerca (Corsi et<br />

al., 2009) suggerisce ad esempio che fra le aziende bio<strong>lo</strong>giche la scelta di canali<br />

corti e specializzati è più probabile <strong>per</strong> le piccole aziende, <strong>per</strong> conduttori<br />

maggiormente scolarizzati e <strong>per</strong> alcuni ordinamenti produttivi (orticoltura,<br />

viticoltura, granivori). La maggior incidenza fra le piccole aziende è probabilmente<br />

in relazione al forte impegno di tempo che questo tipo di organizzazione delle<br />

vendite comporta. Va ancora notato che <strong>lo</strong> sfruttamento di questi canali potrebbe<br />

anche essere organizzato collettivamente: dato che esso comporta una serie di costi<br />

fissi, che in alcuni casi non sono ammortizzabili dalle singole aziende e <strong>per</strong> volumi<br />

di vendite modesti, è possibile pensare, anche <strong>per</strong> questo campo di azione, a forme<br />

di organizzazione della filiera che aiutino la messa in contatto della domanda e<br />

dell’offerta.<br />

La discussione svoltasi nel Gruppo Tematico Impresa e nei Workshop<br />

Territoriali ha indicato situazioni molto diversificate anche da questo punto di<br />

vista. Vi è stato un consenso generale sul fatto che sia le filiere corte sia quelle<br />

31 <strong>Le</strong> distanze tra luoghi di produzione, trasformazione e consumo.<br />

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