Le strategie per lo sviluppo dell'agricoltura biologica. - Sistema d ...
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dall’Amministrazione pubblica so<strong>lo</strong> se non falsi la concorrenza internazionale. In<br />
questo caso l’Amministrazione pubblica non può promuovere direttamente il <strong>lo</strong>go<br />
ma può intervenire con campagne promo-pubblicitarie in ambiti di estremo rilievo<br />
<strong>per</strong> il settore bio<strong>lo</strong>gico, quale la promozione generale del consumo di prodotti<br />
bio<strong>lo</strong>gici e del <strong>lo</strong>go europeo, il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese<br />
bio<strong>lo</strong>giche, il sostegno all’interprofessione e agli accordi di filiera nel settore.<br />
Il terzo assunto è che il regolamento CE 834/2007 ammette la<br />
diversificazione delle agricolture bio<strong>lo</strong>giche nazionali, modificando in peius la<br />
normativa comunitaria <strong>per</strong>ché rinuncia a una definizione uniforme delle regole <strong>per</strong><br />
l’agricoltura bio<strong>lo</strong>gica; infatti il regolamento ammette:<br />
- l’applicabilità di norme più rigorose alla produzione bio<strong>lo</strong>gica vegetale e a quella<br />
animale, purché tali norme siano applicabili anche alla produzione non bio<strong>lo</strong>gica,<br />
siano conformi alla normativa comunitaria e non vietino o limitino la<br />
commercializzazione di prodotti bio<strong>lo</strong>gici prodotti al di fuori del territorio del<strong>lo</strong><br />
Stato membro interessato (art. 34, comma 2);<br />
- la possibilità di aggiungere ulteriori disposizioni nazionali <strong>per</strong> acquacoltura,<br />
vitivinicoltura, prodotti specifici come alghe e lieviti, regolamentazione del<br />
comparto della ristorazione privata e collettiva (<strong>per</strong> il quale è previsto il riesame<br />
comunitario in materia entro il 2011);<br />
- la regola della flessibilità (reg. CE 834/2007, capo 5, art. 22) della specificità<br />
territoriale dell’azienda agricola <strong>per</strong> cui sono previste eccezioni nazionali,<br />
limitate al minimo e nel tempo, <strong>per</strong> l’avvio o il mantenimento della produzione<br />
bio<strong>lo</strong>gica in aziende soggette a vincoli climatici, geografici o strutturali,<br />
approvvigionamento di mangimi, sementi e altri fattori di produzione, i quali non<br />
siano disponibili sul mercato in forma bio<strong>lo</strong>gica.<br />
Ne consegue che il <strong>lo</strong>go, come parte integrante di un marchio collettivo<br />
nazionale, potrebbe adottare disciplinari che prescrivono norme tecniche più<br />
rigorose purché tali disciplinari siano applicabili anche alla produzione non<br />
bio<strong>lo</strong>gica e siano conformi al diritto comunitario. I disciplinari potrebbero<br />
prevedere, ad esempio, metodo<strong>lo</strong>gie colturali, d’allevamento e di trasformazione<br />
tipiche <strong>lo</strong>cali, impiego di sementi di conservazione, impiego di cultivar e razze<br />
animali autoctone, filiera OGM free (con una soglia accidentale di organismi<br />
geneticamente modificati inferiore al<strong>lo</strong> 0,9%), prestazioni ambientali certificate<br />
durante l’intero cic<strong>lo</strong> di vita dei prodotti con uso di risorse <strong>lo</strong>cali e rinnovabili<br />
(impronta eco<strong>lo</strong>gica), misure più restrittive in materia di benessere animale e così<br />
via.<br />
Diverso è il caso in cui il <strong>lo</strong>go si configuri come semplice segno grafico,<br />
disegno o pittogramma (e non come un marchio collettivo pubblico). Si tratta di un<br />
modo <strong>per</strong> rendere nota in etichetta l’origine italiana del prodotto attraverso un<br />
“brand” istituito e regolato <strong>per</strong> legge (rilasciato, ad esempio, dal Ministero delle<br />
politiche agricole, alimentari e forestali) che assicura che il prodotto bio<strong>lo</strong>gico è<br />
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