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Le strategie per lo sviluppo dell'agricoltura biologica. - Sistema d ...

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dalla sigla di garanzia dell’Organismo di certificazione. Riveste, dunque, enorme<br />

importanza la funzione del marchio nel garantire un insieme di va<strong>lo</strong>ri che l’impresa<br />

di produzione/trasformazione o il distributore o <strong>lo</strong> stesso Organismo di<br />

certificazione vuole trasmettere al mercato e al consumatore<br />

Il consumatore di prodotti alimentari è portato ad adottare comportamenti di<br />

autodifesa contro l’incertezza qualitativa che si possono riassumere in: a)<br />

ripetitività degli acquisti; b) fedeltà al marchio/punto vendita; c) propensione a non<br />

acquistare prodotti poco noti; d) preferenza <strong>per</strong> prodotti “di marca” e con più<br />

diffusa reputazione; e) propensione a pagare un sovrapprezzo (premium price)<br />

contro l’incertezza qualitativa (Grunert, 2005; Stefani et al., 2006). È chiaro che la<br />

possibilità <strong>per</strong> il produttore o distributore di comunicare direttamente o<br />

indirettamente con il consumatore contribuisce a stabilire un clima di fiducia che<br />

consolida rapporti duraturi e attiva una comunicazione basata sul passaparola:<br />

dietro al marchio bio<strong>lo</strong>gico, dunque, ci deve essere la capacità dell’impresa di<br />

conquistare la fiducia del consumatore (con azioni pubblicitarie, con<br />

comportamenti etici e sociali, ecc.), mentre un marchio generico privo di<br />

promozione si mostra spesso insufficiente ad attrarre il consumatore a meno che<br />

questi non sia esclusivamente sensibile al prezzo, cosa che è piuttosto insolita in un<br />

consumatore di prodotti bio<strong>lo</strong>gici.<br />

Nella GDO, in particolare, si registra la crescita dei prodotti a marchio<br />

commerciale che tendono a unire il concetto di qualità insito nell’origine e nella<br />

natura del prodotto a quel<strong>lo</strong> di qualità indotta, ovvero legata al marchio, in quanto<br />

il consumatore non conosce l’identità del singo<strong>lo</strong> produttore e si affida al retailer.<br />

Nei Paesi del Nord la grande distribuzione veicola fino al 90% del prodotto<br />

bio<strong>lo</strong>gico totale, soprattutto tramite private label, seguita dal dettaglio<br />

specializzato, che invece è prevalente in Italia, Spagna, Grecia, Portogal<strong>lo</strong> e, più<br />

recentemente, in Olanda (Ismea, 2008).<br />

L’utilizzo dei marchi collettivi - caratterizzati dalla dissociazione tra<br />

titolarità singola di un ente, di un consorzio o di una associazione di imprese e<br />

l’uso plurimo da parte dei singoli imprenditori - con un orientamento ai metodi di<br />

produzione a basso impatto ambientale, agricoltura integrata e agricoltura<br />

bio<strong>lo</strong>gica, hanno invece segnato, in Italia, le <strong>strategie</strong> di va<strong>lo</strong>rizzazione dei prodotti<br />

agricoli regionali e dei prodotti di Associazioni o Coo<strong>per</strong>ative di produttori <strong>lo</strong>cali.<br />

La funzione del marchio collettivo è quella di identificare e distinguere i prodotti<br />

non in ragione della provenienza da una determinata impresa ma in ragione delle<br />

caratteristiche e qualità codificate in un disciplinare caratterizzante che stabilisce le<br />

norme relative alla zona di provenienza delle materie prime, alle tecniche di<br />

produzione e agli standard qualitativi da ottenere. Il marchio collettivo, <strong>per</strong>tanto,<br />

commerciale (marchio dell’insegna o private label) e <strong>per</strong> l’assenza dell’apporto promozionale da parte del<br />

distributore.<br />

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