Le strategie per lo sviluppo dell'agricoltura biologica. - Sistema d ...
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efficacia competitiva e il raggiungimento di standard qualitativi e produttivi sempre<br />
più elevati. In Italia, di fronte alla presenza di tali orientamenti e alla necessità di<br />
su<strong>per</strong>are l’asimmetria informativa del settore, l’obiettivo di sostenere e<br />
incrementare i consumi domestici del bio<strong>lo</strong>gico “made in Italy” e di consolidare<br />
all’estero, rendendole immediatamente riconoscibili, le specificità delle produzioni<br />
italiane deve necessariamente passare attraverso <strong>per</strong>corsi di va<strong>lo</strong>rizzazione delle<br />
produzioni e di adeguate politiche commerciali, sostenute dalla comunicazione<br />
lungo la filiera e al consumatore finale e dall’educazione al consumo. Sul fronte<br />
della comunicazione istituzionale, è opportuno evidenziare che negli ultimi tempi il<br />
MIPAAF sta investendo importanti risorse, d’intesa con il Comitato Consultivo del<br />
bio<strong>lo</strong>gico e del biodinamico, proprio <strong>per</strong> incrementare il potenziale del settore<br />
(manifestazioni come “<strong>Le</strong> Piazze del bio”, programmi televisivi di divulgazione<br />
che illustrano le fasi della filiera, ecc.).<br />
I consumatori, come è emerso dall’indagine condotta nell’ambito del<strong>lo</strong><br />
studio, sarebbero ben favorevoli alla diffusione di un marchio nazionale quale<br />
ulteriore garanzia della qualità del prodotto bio<strong>lo</strong>gico, mentre un interesse molto<br />
più contenuto è stato manifestato dagli o<strong>per</strong>atori del settore. Entrambi, tuttavia,<br />
riconoscono che il disciplinare di un eventuale marchio nazionale dovrebbe<br />
assicurare so<strong>lo</strong> materia prima italiana, standard produttivi più rigorosi, la sede in<br />
Italia delle aziende produttrici, maggiori controlli sul prodotto e maggiore<br />
frequenza di visite ispettive. La necessità di controlli più efficaci, tra l’altro, è<br />
emersa chiaramente dall’analisi SWOT.<br />
L’utilizzo del <strong>lo</strong>go o del marchio collettivo riflette componenti normative,<br />
organizzative, tecniche e gestionali che spesso si traducono in oneri <strong>per</strong> le imprese<br />
anche se, l’adozione del <strong>lo</strong>go o l’adesione al marchio collettivo avviene a tito<strong>lo</strong><br />
gratuito.<br />
In conclusione, è risultato evidente che un <strong>lo</strong>go corrispondente ad un<br />
marchio collettivo nazionale di natura pubblica sia vincolato al rispetto di una<br />
normativa comunitaria abbastanza complessa, sebbene la sua adozione potrebbe<br />
rappresentare una reale potenzialità <strong>per</strong> il bio<strong>lo</strong>gico italiano. In primo luogo, <strong>per</strong>ché<br />
il marchio collettivo nazionale diventerebbe un mezzo di identificazione del<br />
prodotto “made in Italy” <strong>per</strong> i consumatori e di differenziazione in termini<br />
competitivi <strong>per</strong> gli o<strong>per</strong>atori concessionari dell’uso del marchio. In secondo luogo,<br />
<strong>per</strong>ché il marchio nazionale esprimerebbe la garanzia istituzionale (ad esempio da<br />
parte del MIPAAF, possibile titolare del marchio) della conformità del prodotto a<br />
standard qualitativi elevati e a determinati requisiti riscontrabili in maniera esplicita<br />
all’interno del disciplinare di produzione e verificabili da parte di un Organismo di<br />
control<strong>lo</strong> di parte terza. In terzo luogo, <strong>per</strong>ché il marchio nazionale potrebbe<br />
certificare, in maniera indiretta, la provenienza geografica del prodotto<br />
(rintracciabilità delle materie prime).<br />
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