Consumi e distribuzione

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<strong>Consumi</strong> e <strong>distribuzione</strong>. Rapporto Coop 2016 liste elettorali relative ai Comuni con più di 5 mila abitanti, nessuno dei due sessi potesse superare i due terzi dei candidati, con effetti apprezzabili sull’equilibrio di genere anche nell’ultima tornata di amministrative che si è tenuta in primavera. Su queste basi è poi intervenuto il Jobs Act, che ha promosso la conciliazione della vita lavorativa e di quella familiare, e da ultimo una ulteriore legge approvata ad inizio 2016 che ha introdotto il principio delle quote rosa nell’accesso alle cariche elettive delle Regioni. Figura 2.25 Bene le donne nell’istruzione (Punteggio: 0=disuguaglianza, 1=uguaglianza) Formazione universitaria Educazione Donne al Governo Partecipazione alla forza lavoro Partecipazione economica Gap salariale Donne in Parlamento 1,4 1,0 0,8 0,7 0,6 0,6 0,5 Fonte: REF Ricerche su dati World Economic Forum 0,0 0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 La letteratura economica si è a lungo soffermata sui benefici che originano da una più ampia inclusione sociale della componente femminile della popolazione: gli studi disponibili mostrano, ad esempio, una maggiore attenzione ai temi del welfare e dell’istruzione nelle politiche adottate da esecutivi a forte impronta femminile. Anche le analisi econometriche confermano che un incremento dell’occupazione femminile andrebbe a sostenere la crescita economica grazie all’attivazione di un effetto moltiplicatore, se si pensa che più donne lavorano, più cresce la domanda di servizi: si calcola che ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro, sono 15 i nuovi occupati che andrebbero a far fronte alle attività non più svolte dalle lavoratrici. Secondo una recente quantificazione della Banca d’Italia, il conseguimento degli obiettivi di Lisbona (livello occupazionale femminile al 60%) porterebbe ad una crescita del Pil italiano in una misura pari al 7%. Nonostante il progressivo adeguamento agli standard europei (in Italia è donna un parlamentare su tre), resta certamente molta strada da fare. In prima battuta occorrerebbe concentrare gli sforzi sul mercato del lavoro, ambito nel quale il nostro Paese occupa in classifica la medesima posizione di Paesi come Cuba, Messico, Arabia Saudita e Bangladesh. [ 82 ]
2. La metamorfosi delle famiglie italiane Figura 2.26 L’occupazione femminile a confronto (Tasso di occupazione femminile 15-64 anni, valori in %) EU 28=59,6 ›=40-50% ›50-‹=60% ›60% Fonte: REF Ricerche su dati Eurostat Anche a livello europeo l’Italia presenta un tasso di occupazione femminile molto basso e paragonabile a quello della Grecia. La rassegna di alcuni indicatori è utile per inquadrare il fenomeno: i tassi di occupazione femminile restano contenuti (47,3% nel primo trimestre 2016, quasi 20 punti percentuali in meno in confronto a quella maschile), soprattutto nell’Italia meridionale (appena il 30%) e, in generale, per le donne con un livello di istruzione meno qualificato. Rispetto ai colleghi maschi, l’avanzamento nella carriera è più lungo e difficile e le donne sono sovrarappresentate nei lavori atipici e precari: l’inadeguatezza dell’offerta di servizi per l’infanzia e, soprattutto, per gli anziani, insieme ad una organizzazione del lavoro tendenzialmente rigida e poco flessibile, rendono spesso incompatibili lavoro, figli e gestione dell’attività domestica. Molta strada è stata fatta durante gli anni e questo va riconosciuto. Dal 2004 ad oggi lo scarto occupazionale uomo-donna è diminuito del 2,6%. La discriminazione di genere trova concretizzazione anche su base salariale: secondo la Commissione Europea le donne sono mediamente retribuite circa il 7% in meno rispetto agli uomini (in termini di livello ciò equivale a circa 2 mila euro lordi l’anno), con scarti che salgono ad oltre il 25% qualora si prendano [ 83 ]
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