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Lidia Palumbo<br />
l’ascoltatore. Giusti parrebbe significare, in questo caso, affetti dall’affezione di cui il racconto dice:<br />
l’eros socratico 8 , in tutti i sensi di questa espressione.<br />
Aristodemo è narratore diverso da Apollodoro perché era presente ai fatti che narra. Egli ha<br />
narrato non solo ad Apollodoro, ma anche a Fenice (173b1-2). A differenziare Apollodoro da Fenice,<br />
entrambi ascoltatori di Aristodemo, ed entrambi a loro volta narratori del racconto di Aristodemo,<br />
stanno le seguenti determinazioni: non si conoscono i sentimenti di Fenice per Socrate e Fenice non<br />
ha avuto cura di determinare il tempo in cui sono avvenuti i fatti narrati (172b8-c2). Apollodoro non<br />
soltanto ha cura di determinare il tempo in cui sono avvenuti i fatti che narra (172c-173a), ma, nel<br />
prepararsi al racconto, non si è limitato ad ascoltare Aristodemo e ricordare quanto lui gli ha narrato,<br />
ma ha anche interrogato Socrate su alcune delle cose ascoltate, ed ha ottenuto da questi conferma<br />
(173b5-6) 9 . Ed è come se la conferma di Socrate si fosse incastonata nel racconto di Apollodoro<br />
impreziosendolo e donandogli chiarezza e verità.<br />
Nel cominciare il suo racconto a Glaucone, il suo racconto dei fatti appresi da Aristodemo,<br />
Apollodoro presenta innanzitutto la figura di Aristodemo narratore, sul quale parrebbe aver assunto<br />
delle informazioni:<br />
116<br />
Un certo Aristodemo, del demo Cidateneo, un piccolo uomo sempre scalzo. Aveva<br />
assistito all’incontro, poiché, a quanto mi risulta, era tra i più innamorati di Socrate, a<br />
quel tempo (Σωκράτους ἐραστὴς ὢν ἐν τοῖς µάλιστα τῶν τότε, 173b1-4).<br />
Da questa presentazione di Aristodemo apprendiamo che egli, innamorato di Socrate, in un qualche<br />
modo gli somigliava, lo imitava 10 , almeno nell’abitudine di andare scalzo, e questa notazione serve a<br />
creare nel lettore l’impressione che l’erastes, l’amante, sia buon narratore dei fatti dell’amato, e a<br />
mostrare come egli stesso, rappresentando il suo racconto, diventi in un certo modo il ritratto di ciò<br />
che viene raccontato 11 . Apollodoro, a sua volta, è, per così dire, pur in un’altra temporalità,<br />
l’immagine di Aristodemo: tra i più innamorati di Socrate, nel suo tempo; è un’immagine solo un po’<br />
sbiadita, come l’hetairos lo è dell’erastes; ed infatti Aristodemo, presente al banchetto di cui narra, è<br />
di esso testimone oculare, mentre Apollodoro, assente al banchetto di cui narra, guarda ad esso come<br />
ad un’immagine in assenza, in un’altra temporalità, un’immagine un po’ sbiadita, ma della quale è<br />
anche egli, in qualche modo, un buon narratore, un buon ritratto, essendo di Socrate hetairos e “da tre<br />
anni preoccupato di sapere ogni giorno ciò che dice e ciò che fa” (172c).<br />
Glaucone non ha dubbi sulla accuratezza del racconto di Apollodoro, ed insiste per ascoltarlo.<br />
Nel porsi nella condizione di ascoltatore, egli associa il racconto ad un percorso:<br />
La strada che conduce alla città 12 è proprio adatta, per chi cammina, a parlare e ad<br />
ascoltare.<br />
Qui scompare dalla scena Glaucone, buon ascoltatore, abitatore della temporalità di secondo piano,<br />
appena più arretrata rispetto al presente scenico, e il posto di ascoltatore viene occupato, per tutta la<br />
durata del dialogo, dal gruppo anonimo di affaristi che stanno interrogando Apollodoro sul banchetto<br />
che si tenne nel passato a casa di Agatone. Come Glaucone, del quale sono indegni sostituti nel ruolo<br />
8<br />
Amanti sono i narratori, amato e desiderato è il racconto da chi lo richiede, erotico è l’argomento di cui il racconto è<br />
racconto: “dimmi degli erotikoi logoi che si tennero”, è questo il modo in cui la richiesta di racconto, come abbiamo visto, è<br />
formulata.<br />
9<br />
Analoga interrogazione di Socrate da parte di un narratore che cerca chiarimenti e conferme su fatti da narrare in Theaet.<br />
142d-143a.<br />
10<br />
In Phaed. 74d10 compare un elemento importante della semantica della mimesis: il «desiderio di essere simile a», di<br />
essere «quale è un altro». In Resp. VI 500c6-7 si dice che questo desiderio, che è quello che prova l’inferiore verso il<br />
superiore, è un desiderio che non è possibile non provare nei confronti di ciò che si ammira. È nel Fedro poi l’idea che<br />
l’amato vede nell’amante come in uno specchio (255d6).<br />
11<br />
Nei dialoghi di Platone la relazione delle caratteristiche dei personaggi con la tesi che essi assumono o difendono, ossia<br />
una sorta di concretizzazione delle teorie o dei racconti enunciati e rappresentati dai personaggi, sono procedimenti che<br />
ricordano la scrittura di Aristofane. Va nella stessa direzione la relazione dei nomi dei personaggi con le loro qualità e le loro<br />
teorie, la esposizione delle dottrine nelle loro versioni più estreme, quasi caricaturali, ed ancora lo stretto legame che è<br />
possibile individuare tra le tematiche abbordate e la maniera di abbordarle. Sull’argomento cfr. Luisa Buarque, As armas<br />
cômicas. Os interlocutores de Platão no Crátilo, Rio de Janeiro, Hexis, 2011; Rossella Saetta-Cottone, Aristofane e la<br />
Poetica dell’ingiuria, Roma, Carocci, 2005.<br />
12<br />
Il percorso è in salita (eis asty, 173b7), ma non nel senso che sia faticoso, piuttosto esso è un cammino verso l’alto, verso<br />
ciò che conta, verso ciò che è degno di essere ascoltato. L’asty è alto in contrapposizione al Pireo anche in Resp. 327.<br />
Sull’argomento cfr. E. Nuzzo, Tra acropoli e agorá. Luoghi e figure della città in Platone e Aristotele, Roma, Edizioni di<br />
Storia e Letteratura, 2011.