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Symposium - AIC

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Giovanni Casertano<br />

sia φιλόσοφος, perché si trova in una posizione intermedia tra il sapiente e l’ignorante, e quindi è<br />

l’amante e non l’amato: infatti τὸ ἐραστόν è ciò che è veramente/realmente bello (204c4: τὸ τῷ ὄντι<br />

καλόν), mentre τὸ ἐρῶν ha tutt’altro aspetto (ἰδέαν), quello che ha già illustrato. Qui appunto si<br />

chiarisce che il nome “filosofo” può ora essere attribuito ad Eros, proprio perché è stata specificata<br />

l’attività sua propria.<br />

8) Ora Socrate chiede qual è l’utilità di Eros per gli uomini (204c). Il termine utilizzato è χρεία<br />

(204c8), un termine che indica allo stesso tempo il vantaggio, l’utilità, ma anche il bisogno, la<br />

necessità, e quindi la mancanza, e quindi la richiesta: come a sottolineare che la condizione di filosofo<br />

di Eros indica sempre un’attività che è l’espressione di un bisogno necessario, un bisogno che richiede<br />

sempre e rinnovatamente di essere soddisfatto, ma allo stesso tempo è appagante, perché apportatore<br />

di un vantaggio che è proprio solo di chi filosofa. Ma la risposta di Diotima non è immediata; come<br />

spesso accade nella metodologia del discorrere e dell’indagare platonico, per rispondere a questa<br />

domanda bisogna trasformarla in un’altra, e quindi chiedersi: perché Eros è rivolto verso le cose<br />

belle? O, ancora più chiaramente (204d5: σαφέστερον): chi ama le cose belle, ama; che cosa ama<br />

(204d5-6: ἐρᾷ ὁ ἐρῶν τῶν καλῶν . τί ἐρᾷ;)? Che diventino sue (204d7). In altre parole, non basta<br />

chiarire che un certo nome appartiene a colui che esercita una certa attività, ma bisogna chiarire anche<br />

qual è l’oggetto, il fine di quell’attività.<br />

9) Ma anche questa risposta desidera (204d8: ποθεῖ), ha bisogno di un’altra domanda, in questo<br />

procedere del discorso che allarga sempre più i suoi confini e ridefinisce i termini che usa per<br />

giungere ad una migliore comprensione dell’oggetto della sua ricerca. La nuova domanda è: cosa<br />

accade a chi possiede le cose belle (204d10-11)? Socrate non sa rispondere.<br />

10) Diotima allora trasforma ancora la domanda, cambiando (204e1: µεταβαλών) i termini e usando<br />

‘bene’ al posto di ‘bello’ 5 , ma mantenendo inalterata la struttura della domanda: chi ama le cose<br />

buone, ama; che cosa ama (204e2-3: ἐρᾷ ὁ ἐρῶν τῶν καλῶν . τί ἐρᾷ;)? Che diventino sue; e cosa<br />

accade a chi possiede le cose buone? che sarà felice (204e7: ἐὐδαίµων), e non occorre domandare<br />

oltre, perché qui la risposta ha raggiunto un termine (205a3: τέλος), dal momento che non ha senso<br />

chiedere ancora “perché un uomo vuole essere felice?”.<br />

È a questo punto che viene stabilita la conclusione di 205a5-8 che ho riportato all’inizio. Ed è<br />

da sottolineare il fatto che questo fine perseguito da tutti appartenga alla sfera della vita nel suo intero,<br />

e non solo alla sfera della ricerca teoretica; il che era stato chiaramente espresso già nella relazione tra<br />

bello e bene. Ma su questo ritornerò.<br />

II.<br />

La nuova domanda di Diotima, che lascia sconcertato Socrate, è a questo punto: allora perché non<br />

diciamo (205a9: φάµεν) che tutti amano (205a9: ἐρᾶν), dal momento che tutti amano sempre le stesse<br />

cose, ma diciamo che alcuni amano ed altri no? Socrate si meraviglia di questo fatto (205b3). Ma<br />

Diotima gli dice che non deve meravigliarsi, perché in effetti noi, isolata (205b4-5: ἀφελόντες) una<br />

certa specie di amore (205b4-5: τοῦ ἔρωτός τι εἶδος), la denominiamo (205b5: ὀνοµάζοµεν) amore,<br />

imponendogli il nome dell’intero (205b5: τὸ τοῦ ὅλου ἐπιθέντες ὄνοµα), mentre per le altre specie<br />

usiamo altri nomi (205b6: ἄλλοις καταχρώµεθα ὀνόµασιν). La questione posta qui da Diotima, e la<br />

spiegazione che ne dà, sono significative del fatto che, se c’è un problema che non ha mai cessato di<br />

interessare Platone, questo è il problema del linguaggio, cioè di quella peculiare attività dell’uomo che<br />

consiste nel cercare di rendere chiari a se stessi i rapporti reali tra le cose nel momento in cui vengono<br />

tradotti in nomi, cioè in parole. In altri termini, c’è un’attività che consiste nello stabilire nomi, che<br />

vengono imposti (ὀνοµάζοµεν, ἐπιθέντες) alle cose; questi nomi sono legati in modo stretto alle idee –<br />

qui non c’interessa stabilire il senso e il valore di questo legame. Queste relazioni sono problematiche,<br />

perché non sono fisse e stabilite una volta per sempre, ma variano a seconda degli usi che ne<br />

facciamo, delle finalità che ci proponiamo nella nostra indagine, del campo di riferimenti che volta a<br />

volta utilizziamo. Ma le spiegazioni di Diotima sono anche un esempio di come quel metodo<br />

diairetico “scoperto”, applicato e difeso nei cosiddetti dialoghi dialettici, sia stato in realtà una<br />

costante nella metodologia e nella dialettica platoniche.<br />

Cerchiamo allora di schematizzare il ragionamento di Diotima: c’è un intero – un genere –<br />

5 L’equivalenza di bello e bene è abbastanza comune nella cultura greca classica, e Platone la approfondisce in senso<br />

specificamente filosofico. Il che non significa che l'equivalenza non resti abbastanza problematica. Per il bello come la<br />

capacità di suscitare un desiderio intenso che spinge l'anima verso il mondo delle idee, cfr. Centrone, cit., pp. LI-LIII.<br />

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