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Symposium - AIC

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Cristina Rossitto<br />

perché non è né totale sapienza né pura ignoranza, bensì è, per così dire, un po' sapienza e un po'<br />

ignoranza.<br />

L'intermedietà di Eros in questo primo passo del <strong>Symposium</strong>, per cui egli è insieme bello e<br />

brutto, buono e cattivo, cioè è insieme, ma in parte, entrambi i contrari, sembra avvicinarsi<br />

maggiormente a quanto Aristotele spiegherà in modo molto tecnico, nella Metafisica, circa la natura<br />

dell'intermedio. Quivi infatti egli offre un'articolata dimostrazione di quale sia effettivamente tale<br />

natura, concludendo che "è chiaro dunque che gli intermedi appartengono al medesimo genere, che<br />

sono intermedi fra contrari e che tutti quanti sono composti di contrari" (ὅτι µὲν οὖν τὰ µεταξὺ ἔν τε<br />

ταὐτῷ γένει πάντα καὶ µεταξὺ ἐναντίων καὶ σύγκειται ἐκ τῶν ἐναντίων πάντα, δῆλον). 12<br />

Di particolare interesse è anzi, per quanto riguarda la natura degli intermedi come necessari<br />

composti di contrari, la fase finale della dimostrazione aristotelica, che immediatamente precede la<br />

conclusione appena citata. Pur argomentando da un punto di vista che implica la sua stessa dottrina<br />

del mutamento, cioè la dottrina dei tre princìpi elementi del divenire (sostrato e due contrari), egli ha<br />

modo di osservare:<br />

230<br />

Τὰ µὲν οὖν ἐναντία ἀσύνθετα ἐξ ἀλλήλων, ὥστε ἀρχαί· τὰ δὲ µεταξὺ ἢ πάντα ἢ οὐθέν. ἐκ<br />

δὲ τῶν ἐναντίων γίγνεταί τι, ὥστ’ ἔσται µεταβολὴ εἰς τοῦτο πρὶν ἢ εἰς αὐτά· ἑκατέρου<br />

γὰρ καὶ ἧττον ἔσται καὶ µᾶλλον. µεταξὺ ἄρα ἔσται καὶ τοῦτο τῶν ἐναντίων. καὶ τἆλλα<br />

ἄρα πάντα σύνθετα τὰ µεταξύ· τὸ γὰρ τοῦ µὲν µᾶλλον τοῦ δ’ἧττον σύνθετόν πως ἐξ<br />

ἐκείνων ὧν λέγεται εἶναι τοῦ µὲν µᾶλλον τοῦ δ’ ἧττον. ἐπεὶ δ’ οὐκ ἔστιν ἕτερα πρότερα<br />

ὁµογενῆ τῶν ἐναντίων, ἅπαντ’ ἂν ἐκ τῶν ἐναντίων εἴη τὰ µεταξύ, ὥστε καὶ τὰ κάτω<br />

πάντα, καὶ τἀναντία καὶ τὰ µεταξύ, ἐκ τῶν πρώτων ἐναντίων ἔσονται. ὅτι µὲν οὖν τὰ<br />

µεταξὺ ἔν τε ταὐτῷ γένει πάντα καὶ µεταξὺ ἐναντίων καὶ σύγκειται ἐκ τῶν ἐναντίων<br />

πάντα, δῆλον.<br />

I contrari non sono composti gli uni degli altri e pertanto sono princìpi; invece gli<br />

intermedi o sono tutti composti dei loro contrari o non lo è nessuno. Ora certamente<br />

esiste qualcosa composto di contrari e tale che il mutamento da un contrario all'altro<br />

dovrà prima passare attraverso esso; infatti esso dovrà essere più di uno dei contrari e<br />

meno dell'altro: e, questo, sarà intermedio fra i contrari. Allora anche tutti gli altri<br />

intermedi saranno composti di contrari, perché ciò che è meno dell'uno e più dell'altro è<br />

in qualche modo composto di ambedue quei termini, nel confronto di ciascuno dei quali è<br />

detto più oppure meno. E poiché non esistono altre cose dello stesso genere che siano<br />

anteriori ai contrari, tutti gli intermedi dovranno essere composti di contrari. 13<br />

2. Subito dopo aver mostrato la natura intermedia di Eros rispetto a buono e cattivo e a bello e brutto,<br />

nel senso appunto che egli non è né l'uno né l'altro dei due, essendo un po' l'uno e un po' l'altro,<br />

Platone affronta l'esame di un'altra sua peculiarità, che riguarda più precisamente il rapporto con il<br />

divino. Socrate infatti riprende una tesi già avanzata nel dialogo, per cui ad un certo punto si era<br />

ammesso che Eros era un grande dio, ma Diotima lo confuta ancora una volta, mostrando che Eros è<br />

un dèmone. In realtà, l'argomentazione di Diotima, che fa leva tutta e proprio sulla nozione di<br />

intermedio, si articola in tre momenti successivi, tesi a dimostrare (a) che Eros è un dèmone, in quanto<br />

intermedio fra mortale e immortale, fra uomo e dio; (b) che ha natura duplice, in quanto intermedio<br />

fra Poros e Penia, i suoi genitori di natura opposta; (c) che è filosofo, in quanto intermedio fra il<br />

sapiente e l'ignorante.<br />

Di tale argomentazione riportiamo i passaggi fondamentali, mantenendone l'articolazione.<br />

(a) Lέγε γάρ µοι, οὐ πάντας θεοὺς φῂς εὐδαίµονας εἶναι καὶ καλούς; ... Ἀλλὰ µὴν Ἔρωτά<br />

γε ὡµολόγηκας δι’ ἔνδειαν τῶν ἀγαθῶν καὶ καλῶν ἐπιθυµεῖν αὐτῶν τούτων ὧν<br />

ἐνδεήςἐστιν ... Πῶς ἂν οὖν θεὸς εἴη ὅ γε τῶν καλῶν καὶ ἀγαθῶν ἄµοιρος; ... Τί οὖν ἄν,<br />

ἔφην, εἴη ὁ Ἔρως; θνητός; Ἥκιστά γε. Ἀλλὰ τί µήν; Ὥσπερ τὰ πρότερα, ἔφη, µεταξὺ<br />

θνητοῦ καὶ ἀθανάτου. Τί οὖν, ὦ Διοτίµα; Δαίµων µέγας, ὦ Σώκρατες· καὶ γὰρ πᾶν τὸ<br />

δαιµόνιον µεταξύ ἐστι θεοῦ τε καὶ θνητοῦ. Τίνα, ἦν δ’ ἐγώ, δύναµιν ἔχον; Ἑρµηνεῦον<br />

καὶ διαπορθµεῦον θεοῖς τὰ παρ’ ἀνθρώπων καὶ ἀνθρώποις τὰ παρὰ θεῶν, τῶν µὲν τὰς<br />

δεήσεις καὶ θυσίας, τῶν δὲ τὰς ἐπιτάξεις τε καὶ ἀµοιβὰς τῶν θυσιῶν, ἐν µέσῳ δὲ ὂν<br />

ἀµφοτέρων συµπληροῖ, ὥστε τὸ πᾶν αὐτὸ αὑτῷ συνδεδέσθαι.<br />

12 Aristot. Metaph. X 7, 1057 b 32-34.<br />

13 Aristot. Metaph. X 7, 1057 b 22-30 (trad. it. di G. Reale, in Aristotele, La metafisica, Napoli 1968, vol. II, pp. 116-117).

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