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Symposium - AIC

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Claudia Luchetti<br />

e3, le parole della Sacerdotessa si potrebbero riformulare come segue: se è vero che Amore del Bene è<br />

Amore dell’Uno -ricordiamo che si parte dal grado infimo dello slancio erotico verso l’Uno, quello<br />

rivolto al singolo corpo- non necessariamente vale l’inverso, ovvero che Amore di un’unità<br />

qualsivoglia sia Amore del Bene. Amore dell’Uno, per essere Amore del Bene, deve essere Amore di<br />

un’Unità sintetica che sappia fondere insieme, ed in maniera ultimativa, Uno e Non Uno, ovvero<br />

capace di assorbire in sé anche il lungo cammino di negazioni (cfr. 210e2-211b5) e distinzioni in cui<br />

il carattere omnipervasivo del καλὸν καὶ ἀγαθόν trova la sua espressione più consona.<br />

Come si può facilmente constatare, una ricostruzione di questo tipo non entra in contrasto con<br />

quelle testimonianze indirette sugli ἄγραφα δόγµατα, che fanno esplicito riferimento all’identità<br />

sostanziale fra il Bene e l’Uno 2 : la Metà, o più genericamente, la Parte, ed il Tutto, di cui parla<br />

Diotima, sono pur sempre forme specifiche di Unità, dipendenti però da un’Unità originaria<br />

intimamente dialettica, e non indifferenziata e disarticolata. Detto in maniera ancora più prosaica,<br />

permettendomi di richiamarmi al dialogo Parmenide, l’Uno-Bene platonico trova corrispondenze<br />

decisamente più numerose nello ἕν-ὅλον della seconda ipotesi (cfr. 142b1 sgg.), certo non nello<br />

ἕν indifferenziato ed inconoscibile della prima (cfr. 137c4 sgg.) 3 .<br />

Gli stimoli che provengono dal Simposio però, spingono anche a problematizzare molto<br />

seriamente la questione del rapporto non solo dell’Uno, ma di entrambi i Principi all’ἀγαθόν, e questo<br />

perlomeno in due sensi:<br />

a) In primo luogo perché la divisione e la negazione, rivelandosi per elementi che non si<br />

limitano a permetterci di discriminare ‘verticalmente’ i livelli dell’epifania del Bello sulla base della<br />

loro maggiore o minore consistenza ontologica, determinando bensì, diciamo ‘orizzontalmente’, la<br />

costituzione stessa dell’αὐτὸ τὸ καλόν, sono proprio quelle componenti che rendono possibile<br />

parlarne come di un vasto mare (τὸ πολὺ πέλαγος, 210d4). Coerenza con questa interpretazione<br />

agatologica, cioè dialettica, vuole che, se stando alla tradizione indiretta, la διαίρεσις e la ἑτερότης,<br />

rispettivamente, dipendono metodologicamente e derivano ontologicamente entrambe dalla ἀόριστος<br />

δυάς, ci si svincoli da quella visione della Diade presente in alcune interpretazioni della teoria dei<br />

Principi non solo come radicalmente opposta all’Uno, ma soprattutto impregnata di connotazioni<br />

etiche negative.<br />

L’utilità dell’applicazione del metodo dicotomico è evidentissima: per suo tramite viene<br />

divisa, spezzata concettualmente, l’unità apparente di partenza, svelandone l’illusorietà, nel produrne<br />

due da una, di modo che la Psiche dell’iniziando possa volgersi alla considerazione della Totalità<br />

delle Unità appartenenti alla medesima specie (cfr. ancora 211c3-4). Nelle loro manifestazioni<br />

metodologico-dialettiche lo ἕν e la δυάς concorrono non solamente a liberare la via alla visione<br />

ultimativa del Bello-Bene, ma convergono nella determinazione della sua stessa natura: questo θεῖον<br />

θαῦµα (211e3, 210e4-5) è sia trascendente che immanente, assoluto nella sua inconcussa Unità e<br />

simultaneamente diffusivo ed omnipervasivo.<br />

b) Secondariamente, ma non in ordine di importanza, va tenuto conto del carattere iconico di<br />

Eros, che induce, nel riflettere sulla relazione fra l’ ἀγαθόν e lo ἕν, a spostare il baricentro di questo<br />

rapporto in maniera ancora più decisa nella direzione agatologica: nel brano centrale (202d8-203a8),<br />

in cui Diotima descrive la potenza (δύναµις) di questo grande δαίµων, Eros è quella forza ermetica<br />

(ἑρµηνεῦον) di scambio e di comunicazione (ἡ ὁµιλία καὶ ἡ διάλεκτος) fra il Divino e l’umano,<br />

capace di colmare le ‘lacune’ (συµπληροῖ) affinché tutto risulti, in se stesso -intrinsecamente-<br />

interconnesso (ὥστε τὸ πᾶν αὐτὸ αὑτῷ συνδεδέσθαι).<br />

A mio parere non c’è motivo per non vedere in questa straordinaria illustrazione, anche la<br />

descrizione, sottoforma di immagine, di una dinamica il cui svolgimento coinvolge, oltre al rapporto<br />

‘verticale’ fra un’Anima ancora incarnata che anela all’Idea, con questa, innanzitutto la dimensione<br />

intelligibile in quanto tale, e questo per due ragioni: la prima è che nel mito immediatamente<br />

successivo sulla genealogia di Amore, è possibile intravedere, come è notoriamente già stato<br />

suggerito, nelle vesti di Poros e Penia, lo ἕν e la ἀόριστος δυάς dell’insegnamento orale. La seconda,<br />

per me ancora più importante, è che forse nell’unica vera definizione del Bene che abbiamo nei<br />

2 Qui è sufficiente richiamarsi, per la ἀναγωγή del metodo generalizzante che riduce i µέγιστα γένη allo ἕν, alla relazione<br />

sullo scritto περὶ τῶν ἐναντίων (Alessandro di Afrodisia, Commento alla Metafisica di Aristotele, 250, 20, sgg. Hayduck), e<br />

per la riduzione della serie positiva ad Aristotele, Metafisica Δ 15, 1021a9 sgg. Per la specifica dipendenza della ταὐτότης<br />

dalla ἑνότης, cfr. Metaph. Δ 1018a7, e per la fondamentale identificazione fra ἀγαθόν e ἕν cfr., a titolo esemplificativo,<br />

Metaph. Ν 4, 1091b14.<br />

3 Per esigenze di sintesi ho dovuto rinunciare ad una disamina, entro la concezione plotiniana della henosis, della recezione,<br />

più o meno esplicita, del mito dell’androgino. Alcuni aspetti del discorso di Aristofane (cfr. Enn. IV,3,12) diventano centrali,<br />

accanto ad una lettura radicalmente monista della teoria platonica dei Principi (cfr. Enn. V, 3, 15 and V, 4, 2), sia per<br />

distinguere il νοῦς ἔµφρονος dal νοῦς ἐρῶν (cfr. Enn. III,5, 4-7 and VI 7 31-35.), che per pervenire alla propria visione<br />

dell’Uno superessenziale.<br />

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