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Federico M. Petrucci<br />
sembra fondato su un retroterra etico almeno in parte tradizionale e - elemento forse più importante - è<br />
garantito a Socrate dalla semplice azione del rifiuto: Alcibiade non coglie le basi filosofiche<br />
dell'atteggiamento di Socrate 7 , ma le azioni del filosofo sono evidentemente temperanti.<br />
La descrizione di un Socrate "virtuoso" prosegue e pare finalizzata a inquadrare ancora aspetti<br />
dell'ἀτοπία del filosofo in un contesto di forza d'animo straordinaria, benché sempre legata alla<br />
capacità di agire con forza e resistenza. Ecco dunque Socrate degno di lode perché resiste al freddo e<br />
alla fame (220a-b) o che, "rapito" dal proprio pensare, rimane immobile, in piedi, da alba ad alba<br />
(220c-d). Non sembra però esservi, agli occhi di Alcibiade, uno scarto tra simili manifestazioni:<br />
mentre sfuggono le motivazioni dell'ἀτοπία, i suoi tratti più tipicamente filosofici (il rapimento<br />
intellettuale di Socrate) si mescolano con atteggiamenti ammirevoli perché degni di lode secondo una<br />
prospettiva tradizionale, come la capacità di resistere in situazioni avverse.<br />
Ma le più chiare indicazioni circa le basi dell'ammirazione da parte di Alcibiade per Socrate<br />
sono fornite dal passo successivo, in cui viene esaltato il suo coraggio in guerra (220d5-221c1):<br />
Se poi volete, nelle battaglie - e infatti è giusto riconoscergli anche questo - quando ci fu la battaglia<br />
in cui gli strateghi mi diedero il riconoscimento al valore, nessun uomo mi salvò se non lui, che non<br />
volle abbandonare un ferito e riuscì a mettere in salvo sia me che le armi. E io, Socrate, anche allora<br />
insistei con gli strateghi perché dessero a te il riconoscimento al valore, e di questo almeno non mi<br />
rimprovererai né dirai che mento. Ma mentre gli strateghi guardavano alla mia posizione sociale e<br />
volevano dare a me il riconoscimento al valore, tu stesso fosti ancora più premuroso degli strateghi<br />
perché lo ricevessi io e non te. E ancora, uomini, vale la pena contemplare Socrate, quando il nostro<br />
esercito si ritirava in fuga da Delio; mi capitò infatti di trovarmi accanto a lui, io a cavallo, lui con le<br />
armature da oplita. Si ritirava, quando ormai i nostri uomini erano dispersi, insieme a Lachete; e io per<br />
caso mi trovo lì e appena li vedo li esorto ad aver coraggio e dicevo che non li avrei abbandonati. E in<br />
quel caso potei contemplare Socrate meglio che a Potidea - io infatti avevo meno paura per il fatto di<br />
essere a cavallo - innanzitutto per quanto superava Lachete in fermezza; eppoi mi sembrava,<br />
Aristofane, come dici tu, che lui camminasse laggiù, come anche qui, "a testa alta, lanciando occhiate<br />
di sbieco", guardando tranquillamente amici e nemici e mostrando chiaramente a chiunque, anche da<br />
molto lontano, che se qualcuno avesse toccato un uomo simile, si sarebbe difeso con enorme vigore.<br />
Perciò si ritirava con sicurezza, lui e il suo compagno; infatti, in guerra, quelli che si comportano così,<br />
i nemici neppure li toccano, mentre inseguono chi fugge disordinatamente 8 .<br />
Dunque, Socrate si mise a rischio per salvare Alcibiade e le sue armi, e a Delio apparì più ἔµφρων di<br />
Lachete, muovendosi con tranquillità, fermezza e vigore negli scontri: senza cavallo, nella ritirata, non<br />
mostra paura. Il ritratto che ne esce incute, come spesso ripete Alcibiade nel suo discorso,<br />
"meraviglia", in quanto Socrate eccelle per coraggio e fermezza, perché rispetta i valori tradizionali<br />
7 Si tratta, dunque, di un "errore" prospettico di Alcibiade, che pur tenta di comprendere le scelte di Socrate; questo errore,<br />
peraltro, non è necessariamente alternativo rispetto a quelli già segnalati dalla critica; cfr. partic. Th.A. Szlezák, Platon und<br />
die Schriftlichkeit der Philosophie, trad. it. Milano 1988, 345-350, o M. Nucci, La visibilità della virtù, «Bollettino della<br />
Società Filosofica Italiana» 169 (2000), 13-18. Parallelamente c'è una relativa convergenza tra gli studiosi nell'affermare che<br />
Socrate ha a questo punto raggiunto almeno un livello dell'ascesa (cfr. ad es. Rowe, Il Simposio, cit., 53-54). Più<br />
problematica e discussa è invece la possibilità di attribuire a Socrate (cioè, al Socrate come immagine del filosofo in questo<br />
contesto del dialogo platonico) la realizzazione dell'ascesa all'idea. Si tratta di una vexata quaestio, non certo limitata a<br />
quest'opera, su cui è impossibile soffermarsi. Si può tuttavia escludere che la possibilità non si dia per ragioni drammatiche -<br />
cioè perché Socrate deve apprendere i contenuti della scala amoris da Diotima: in effetti, il dialogo con Diotima è confinato<br />
al passato -. Ci si potrebbe anche chiedere che tipo di conoscenza abbia Socrate delle idee di cui parla nel suo discorso, se sia<br />
possibile attribuirgli una descrizione superficiale, della quale non sarebbe in grado di rendere ragione, o ancora se vi siano<br />
gradi intermedi tra la virtù filosofica compiuta legata alla φρόνησις (e non, evidentemente, alla σοφία) e alla conoscenza<br />
delle idee e la virtù incompleta a cui si fa riferimento nella prima parte del discorso di Socrate. Sul problema cfr. Centrone,<br />
Nucci, op. cit., XXVII-XXVIII.<br />
8 εἰ δὲ βούλεσθε ἐν ταῖς µάχαις – τοῦτο γὰρ δὴ δίκαιόν γε αὐτῷ ἀποδοῦναι – ὅτε γὰρ ἡ µάχη ἦν ἐξ ἧς ἐµοὶ καὶ τἀριστεῖα<br />
ἔδοσαν οἱ στρατηγοί, οὐδεὶς ἄλλος ἐµὲ ἔσωσεν ἀνθρώπων ἢ οὗτος, τετρωµένον οὐκ ἐθέλων ἀπολιπεῖν, ἀλλὰ συνδιέσωσε καὶ<br />
τὰ ὅπλα καὶ αὐτὸν ἐµέ. καὶ ἐγὼ µέν, ὦ Σώκρατες, καὶ τότε ἐκέλευον σοὶ διδόναι τἀριστεῖα τοὺς στρατηγούς, καὶ τοῦτό γέ<br />
µοι οὔτε µέµψῃ οὔτε ἐρεῖς ὅτι ψεύδοµαι· ἀλλὰ γὰρ τῶν στρατηγῶν πρὸς τὸ ἐµὸν ἀξίωµα ἀποβλεπόντων καὶ βουλοµένων<br />
ἐµοὶ διδόναι τἀριστεῖα, αὐτὸς προθυµότερος ἐγένου τῶν στρατηγῶν ἐµὲ λαβεῖν ἢ σαυτόν. ἔτι τοίνυν, ὦ ἄνδρες, ἄξιον ἦν<br />
θεάσασθαι Σωκράτη, ὅτε ἀπὸ Δηλίου φυγῇ ἀνεχώρει τὸ στρατόπεδον· ἔτυχον γὰρ παραγενόµενος ἵππον ἔχων, οὗτος δὲ<br />
ὅπλα. ἀνεχώρει οὖν ἐσκεδασµένων ἤδη τῶν ἀνθρώπων οὗτός τε ἅµα καὶ Λάχης· καὶ ἐγὼ περιτυγχάνω, καὶ ἰδὼν εὐθὺς<br />
παρακελεύοµαί τε αὐτοῖν θαρρεῖν, καὶ ἔλεγον ὅτι οὐκ ἀπολείψω αὐτώ. ἐνταῦθα δὴ καὶ κάλλιον ἐθεασάµην Σωκράτη ἢ ἐν<br />
Ποτειδαίᾳ – αὐτὸς γὰρ ἧττον ἐν φόβῳ ἦ διὰ τὸ ἐφ' ἵππου εἶναι – πρῶτον µὲν ὅσον περιῆν Λάχητος τῷ ἔµφρων εἶναι· ἔπειτα<br />
ἔµοιγ' ἐδόκει, ὦ Ἀριστόφανες, τὸ σὸν δὴ τοῦτο, καὶ ἐκεῖ διαπορεύεσθαι ὥσπερ καὶ ἐνθάδε, , ἠρέµα παρασκοπῶν καὶ τοὺς φιλίους καὶ τοὺς πολεµίους, δῆλος ὢν παντὶ καὶ πάνυ πόρρωθεν ὅτι εἴ τις<br />
ἅψεται τούτου τοῦ ἀνδρός, µάλα ἐρρωµένως ἀµυνεῖται. διὸ καὶ ἀσφαλῶς ἀπῄει καὶ οὗτος καὶ ὁ ἑταῖρος· σχεδὸν γάρ τι τῶν<br />
οὕτω διακειµένων ἐν τῷ πολέµῳ οὐδὲ ἅπτονται, ἀλλὰ τοὺς προτροπάδην φεύγοντας διώκουσιν.<br />
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